Il Corriere della Sera - 18.09.2009.pdf

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VENERDÌ 18 SETTEMBRE 2009 ANNO 134 - N. 221
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Fondato nel 1876 www.corriere.it
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Kabul
17 settembre
2009
ore 12.10
Kamikaze talebani a Kabul, uccisi sei nostri soldati e 15 civili
Bossi: ritiro per Natale. Berlusconi: via presto ma non da soli
T UTTI A C ASA?
LA T ENTAZIONE
DA E VITARE
GLI E ROI
DI UNA G UERRA
L ONTANA
Alle 12.10 (9.40 in Italia) autobomba
kamikaze a Kabul: colpiti due blindati
italiani. Uccisi sei parà della Folgore,
altri 4 sono gravi, ma non rischiano la
vita. Morti anche 15 civili. Bossi: ritiro
entro Natale. Berlusconi: presto via
500 militari, ma non si decide da soli.
Sottoscrizione del Corriere per le fami-
glie delle vittime dell’attentato.
DA PAGINA 2 A PAGINA 19
di FRANCO VENTURINI
di GIAN ANTONIO STELLA
L a carneficina di Kabul
F orse non si troverà mai
cade come un colpo di
maglio sulle nostre
emozioni ma anche sulla
nostra politica. Davanti al
sacrificio dei sei parà la
sinistra radicale trova
nuove ragioni per chiedere
il ritiro immediato
dall’Afghanistan, e questo
non sorprende. Il Pdl è
deciso a mantenere gli
impegni che l’Italia ha
assunto, e Berlusconi la
sua exit strategy di lunga
durata la discute con
Obama. Anche questo non
può sorprendere. Semmai
la novità risiede nella
moltiplicazione delle voci
che con accenti diversi, in
un arco che va dal Pd a Di
Pietro e alla governativa
Lega, invitano a
«riflettere» sulla missione
dei nostri soldati e a
predisporre un nuovo
approccio che li riporti a
casa (secondo Bossi, entro
Natale). Sono istanze,
queste, che trovano
riscontro nei sondaggi
d’opinione.
E proprio per questo,
perché non si inneschi una
dinamica ingannevole o
per lo meno ambigua, è
necessario chiarire cosa si
intenda per «riflettere». Se
volessimo stare al
significato letterale
dell’esortazione, il rischio
è che si cada in una tardiva
scoperta dell’acqua calda.
CONTINUA A PAGINA 18
un anonimo poeta in
grado di cucire addosso ai
ragazzi italiani morti di
Kabul una canzone di quelle
di una volta. Canzoni di
lutto e dolore che
fermavano il fiato. Come
«Sul ponte di Perati», con
quella strofa che dice
«sull’ultimo vagone c’è
l’amor mio / Col fazzoletto
in mano mi dà l’addio. / Col
fazzoletto in mano mi
salutava / E con la bocca i
baci lui mi mandava». La
disperazione della perdita, lo
strazio delle mogli, le
lacrime dei bambini e lo
sguardo impietrito dei padri
e delle madri, però, sono
sempre gli stessi. Anche la
bandiera stesa sulle bare dei
caduti, quella bandiera che
un pezzo del mondo politico
non perde occasione per
coprire di disprezzo, è
sempre la stessa. Quella che
coprì, quando fu possibile e
i corpi non furono
abbandonati ai lupi, i
soldatini mandati a morire
sui monti della Grecia dove
«c’è la Vojussa, col sangue
degli alpini s’è fatta rossa» e
sulle rive del Don descritte
da Mario Rigoni Stern o
sugli altopiani etiopi
dov’erano arrivati cantando
allegri: «Il treno parte: ad
ogni finestrin / ripete
allegramente il soldatin. / Io
ti saluto: vado in Abissinia /
cara Virginia, ma tornerò...».
CONTINUA A PAGINA 18
Giannelli
Da sinistra a destra: Matteo Mureddu, 26 anni; Antonio Fortunato, 35 anni; Davide Ricchiuto, 26 anni
Frattini «Volevano colpire noi»
«Così non va:
una missione
da cambiare»
Da sinistra a destra: Massimiliano Randino, 32 anni; Roberto Valente, 37 anni; Giandomenico Pistonami, 28 anni
di MAURIZIO CAPRARA
LE STORIE
LA FOLGORE
I DATI DI SETTEMBRE
GLUCKSMANN-ZAKARIA
LA STRATEGIA
«Dobbiamo ancora conquistare la fi-
ducia e il cuore degli afghani. Va cam-
biato molto», dice il ministro degli Este-
ri Franco Frattini al Corriere della Sera .
«Bisogna abbinare sicurezza e grande
professionalità con l’attenzione ai villag-
gi, alla gente che soffre». L’opposizio-
ne? «Apprezzo la loro posizione, ci sono
voci stonate ma del tutto isolate».
A PAGINA 15
Le vittime:
nozze, amici
e passioni
«Vogliamo
morire
combattendo»
I sondaggi
sul ritiro:
58% dice sì
Un conflitto
che ha
ancora senso?
L’identikit
dei nuovi
capi talebani
I servizi degli inviati
di FABRIZIORONCONE
di FRANCESCOVERDERAMI
di STEFANOMONTEFIORI
di GUIDOOLIMPIO
ALLE PAGINE 4 E 5
A PAGINA 7
ALLE PAGINE 10 E 11
ALLE PAGINE 16 E 17
A PAGINA 19
Obama rinuncia
allo Scudo di Bush
La madre di Sanaa
difende il marito killer
di PAOLO VALENTINO
di FRANCESCO ALBERTI
La sentenza
Gli Stati Uniti rinunciano al pro-
getto di «Scudo» antimissili eredi-
tato dall’amministrazione Bush. Ie-
ri il presidente Obama ha annun-
ciato che non saranno installati
missili in Polonia e radar nella Re-
pubblica Ceca e che invece sarà
scelto un sistema più agile in gra-
do però di intercettare le eventuali
minacce iraniane. Soddisfazione di
Mosca, che non aveva mai visto di
buon occhio lo «Scudo» ai propri
confini occidentali.
A PAGINA 21 Natale
«Lui voleva bene a Sanaa, forse
lei ha sbagliato...». E poi: «Sono di-
sposta a perdonarlo, è il padre dei
miei figli». A Italia 1 parla Fatna, la
mamma di Sanaa, la diciottenne uc-
cisa dal padre perché conviveva
con un giovane italiano. «Eravamo
pronti ad aiutarla, ma visto che ac-
cusa la figlia morta di non essere
stata una brava musulmana, allora
sia chiaro che qui è indesiderata»,
dice il sindaco di Azzano Decimo,
il leghista Enzo Bortolotti.
A PAGINA 30
Il Tar boccia
l’alimentazione
forzata ai pazienti
in stato vegetativo
di MARGHERITA DE BAC
A PAGINA 33
La strage dei parà scuote l’Italia
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2 Primo Piano
Venerdì 18 Settembre 2009 Corriere della Sera
#
La strage di Kabul
❜❜
Continueremo a essere immensamente grati per il servizio che i militari
italiani stanno rendendo al nostro Paese Hamid Karzai, presidente afghano
Lo scenario
Strategia
del caos
sullo sfondo
dei brogli
attività della guerriglia e
situazione politica in
Afghanistan. Sin dall’inverno
scorso i portavoce talebani
avevano infatti minacciato
apertamente che avrebbero
boicottato, anche nel sangue,
le elezioni presidenziali dello
scorso agosto. E molto
probabilmente non è solo una
coincidenza che l’attacco
contro gli italiani ieri a Kabul
sia arrivato solo poche ore
dopo l’annuncio della
Commissione elettorale
indipendente
(filo-governativa) sulla
vittoria di Hamid Karzai.
Ormai da tempo, addirittura
sin dall’attentato suicida nel
gennaio 2008 contro l’Hotel
Serena di Kabul, vero simbolo
della presenza occidentale
nella capitale, è stato chiaro
che i talebani sono in grado di
colpire a loro piacimento
anche nelle aree nevralgiche
del Paese. Ciò non significa
affatto che Kabul sia sotto il
loro controllo. È invece la
riprova delle enormi difficoltà
da parte della coalizione
alleata nel combattere questa
infida guerra asimmetrica con
a disposizione contingenti che
hanno diverse culture e
strategie spesso non
coordinate. Con il loro potente
e raffinato apparato militare
gli americani non sono mai
davvero riusciti a impedire il
terrorismo nel cuore di
Bagdad. Non c’è dunque
alcuna garanzia che le forze di
Isaf-Nato, variegate, con
regole di ingaggio
differenziate e spesso in
polemica tra loro, riescano
con efficacia dove i militari
statunitensi hanno fallito.
Tutto questo per dire che i
vertici militari di Isaf
sapevano bene che un evento
come quello di ieri era più che
prevedibile. Anzi, al comando
di Kabul negli ultimi tempi
erano abbastanza colpiti dal
fatto che il dopo-elezioni nella
capitale fosse stato sino ad ora
più tranquillo di quanto ci si
fosse aspettato. Infatti le
premesse erano state
preoccupanti. Le settimane
precedenti le elezioni erano
state molto tese, sino a
culminare nel grave attentato
nei pressi della zona di
accesso al quartiere generale
di Isaf lo scorso 15 agosto.
C’erano stati anche tiri di
razzi sulla capitale. Dagli inizi
di settembre la tensione è
tornata a gravare sulle forze
straniere. Nel Sud e al confine
con il Pakistan i contingenti
inglese, americano e canadese
subiscono attentati quotidiani.
Nel Nord, nella regione del
Kunduz, il contingente
tedesco ha ridotto le attività
dopo il grave incidente delle
due cisterne sequestrate dai
talebani e poi bombardate
dagli americani. Ed è opinione
diffusa che i talebani non
faranno che soffiare sul fuoco
con il crescere delle polemiche
sulla legittimità delle elezioni
presidenziali e la denuncia dei
brogli.
«Una trappola di fuoco»
Un’auto con 150 chili di esplosivo nell’area diplomatica di Kabul
Sei soldati morti, quattro feriti. Tra le vittime dei talebani 15 afghani
Il tuono dell’esplosione zittisce
tutto per qualche secondo. Le voci
del mercato, il chiasso del traffico.
Ancora prima delle urla, il silenzio
del terrore viene riempito dai bot-
ti delle munizioni che deflagrano
nei blindati, castagne di piombo
avvolte da un fuoco troppo inten-
so. Il kamikaze si è infilato tra i
due Lince, una Toyota Corolla
bianca appesantita da 150 chili di
tritolo, che è uscita da un parcheg-
gio e si è avvicinata nel fiume d’au-
to di Kabul. E’ mezzogiorno e die-
ci (le 9,40 in Italia) e manca poco
alla festa di Id al-Fitr, segna la fine
del Ramadan, il mese del digiuno,
ma non quella della violenza.
I paracadutisti della Brigata Fol-
gore stavano scortando un convo-
glio, dall’aeroporto della capitale
afghana verso il quartier generale
delle forze della Coalizione. «Ho
sentito il boato a cinquanta metri
di distanza», racconta Feraudin
Ansari, le vetrine del suo negozio
distrutte. «Sembrava la fine del
mondo — dice Khuja Hedayatul-
lah, mentre si muove fra le botti-
glie di sciroppo in frantumi della
farmacia —. In pochi secondi mi
sono ritrovato avvolto dalle fiam-
me». «Stavamo caricando i baga-
gli, quando abbiamo sentito
un’esplosione in lontananza. Ab-
biamo visto alzarsi una colonna di
fumo verso il cielo», ricorda Cristi-
na Balotelli, giornalista di Radio
24-Il Sole 24 ORE , appena arrivata
in Afghanistan con alcuni dei mili-
tari coinvolti nell’attentato. «Sono
saliti sui loro mezzi e ci hanno sa-
lutato: "Fra poco torniamo indie-
tro e veniamo a riprendervi"».
Uno dei veicoli corazzati è stato
catapultato dall’altro lato della
strada, il ping pong feroce della
guerra. Sull’asfalto, due cadaveri
carbonizzati: i soldati uccisi sono
sei (5 su un blindato, uno sull’al-
tro), gli altri quattro uomini della
pattuglia sono rimasti feriti. Il te-
nente Antonio Fortunato, il ser-
gente maggiore Roberto Valente, i
caporal maggiore Matteo Mured-
Ho sentito il boato a 50 metri di distanza.
Sembrava la fine del mondo, in pochi secondi mi
sono ritrovato avvolto dalle fiamme
du, Gian Domenico Pistonami,
Massimiliano Randino, Davide
Ricchiuto sono le ultime vittime
dell’assalto talebano alla fortezza
di Kabul.
La rivendicazione arriva per
sms, il messaggio vuole essere ine-
quivocabile: nessuno qui è sicuro.
«Con questo gesto — sostiene il
portavoce dei talebani Zabihullah
(«sacrificio di Dio») Mujahid —
abbiamo voluto dimostrare anco-
ra una volta che non esiste alcun
sistema per fermarci. Possiamo ar-
rivare ovunque. Il martire che ha
colpito gli italiani si chiamava He-
dayatullah («rettitudine di Dio»)
ed era un abitante di Kabul». Igna-
zio La Russa, ministro della Dife-
sa, riferisce alla Camera di una se-
conda ipotesi («anche se meno
probabile») per la dinamica: la ca-
rica esplosiva potrebbe essere sta-
ta azionata a distanza, senza l’at-
tentatore suicida.
La rivendicazione arriva quan-
do le lamiere dei due Lince stanno
ancora lì carbonizzate, vicino a
Lorenzo Cremonesi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
C ’è una stretta relazione tra
Kamikaze contro i parà
❜❜
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Corriere della Sera Venerdì 18 Settembre 2009
Primo Piano
3
#
❜❜
Offro le condoglianze dell’Alleanza all’Italia per le tragiche
perdite nel corso del brutale attacco Anders Fogh Rasmussen, segretario Nato
Il caso
«Una Toyota colpirà
su quelle strade»
L’allarme dei servizi
poche ore prima
Dopo l’inferno Soldati dell’Isaf
coprono i corpi delle vittime
dell’attentato suicida che ha
colpito ieri un convoglio italiano
a Kabul (Ap Photo/Manish
Swarup)
piazza Massoud, uno dei crocevia
più importanti della città. L’amba-
sciata americana poco lontana, è
la zona dei diplomatici, quella che
dovrebbe essere più protetta. Le
elezioni del 20 agosto hanno spin-
to l’offensiva dei fondamentalisti
verso il centro corazzato della capi-
tale, lanci di razzi contro il palazzo
presidenziale, un’autobomba da-
vanti al super-presidiato quartier
generale dell’Isaf (15 agosto), l’at-
tacco a un convoglio militare bri-
tannico sulla strada verso Jalala-
bad (18 agosto).
«Perché pattugliano dentro Ka-
bul? Qua non c’è Al Qaeda. Adesso
il mio negozio è distrutto», si la-
menta Ansari. I morti tra i civili sa-
rebbero una quindicina, i feriti
conda, vicina a Gulbuddin Hekma-
tyar, avrebbe pianificato di attacca-
re l’aeroporto e i posti di sicurezza
delle forze afghane. La terza, più
numerosa, legata al mullah Rah-
matullah e a Kari Mustafa, voleva
bersagliare obiettivi nella capitale
e avrebbe avuto nell’arsenale lan-
ciarazzi, armi anti-carro e ordigni
artigianali.
«Ci aspettavamo un attentato,
anche se speravamo che non suc-
cedesse davvero. Ci sono andati
giù pesante. Il primo blindato è
stato completamente sventrato»,
commenta all’agenzia Apcom una
fonte militare da Kabul. «Adesso
bisogna andare avanti, portare a
termine la missione, anche e so-
prattutto per i compagni che non
ci sono più. Nessuno ha voglia di
mollare, ma è necessario investire
di più per la sicurezza dei soldati.
Se una tragedia come questa acca-
de a un mezzo ottimo come il Lin-
ce, occorre studiare e apportare
miglioramenti. Certo, la ricerca co-
sta soldi».
L’attacco di ieri è arrivato pro-
prio quando il risultato controver-
so delle elezioni complica la mis-
sione delle forze internazionali.
Amid Karzai definisce l’attentato
«un atto barbaro»: «Gli afghani
non dimenticheranno mai e conti-
nueranno ad ammirare il servizio
che i militari italiani stanno ren-
dendo a favore della pace e della
sicurezza del nostro Paese». Il pre-
sidente afghano, che è stato ricon-
fermato con il 54,6% dei voti, deve
rispondere alle accuse di brogli,
lanciate dagli avversari. Ammette
solo: «Alcuni funzionari del gover-
no sono stati parziali nei miei con-
fronti, altri verso l’altro conten-
dente Abdullah Abdullah».
Davide Frattini
© RIPRODUZIONE RISERVATA
E’ stata una strage annunciata e prevedibile? L’atroce
dubbio comincia ad affiorare alcune ore dopo il bagno di
sangue che ha gettato l’Italia e gli afghani nel lutto e nel
dolore. Tutto nasce dall’allarme lanciato dai Servizi che una
cellula era pronta ad attaccare strutture governative o della
coalizione lungo l'Airport road con una Toyota imbottita di
esplosivo. La questione viene posta al ministro della Difesa
al termine dell'informativa alla Camera: «Non posso
escludere che ci sia stato un "warning" — risponde La Russa
—ma a me non è mai arrivato. Quello che posso dire è che
il warning della Toyota bianca c'è sempre: è l’auto più usata.
E questo non può impedire che si svolgano le normali
attività». C’è un altro particolare che solleva perplessità: è
vietato (e impedito) a qualsiasi mezzo o persona di inserirsi
in una colonna militare. Come ha fatto la Toyota bianca a
infilarsi o comunque ad accostarsi fra i due Lince?
In ogni caso, la carneficina di ieri è stata sprezzante,
irridente. Per luogo e tempismo. Mercoledì mattina,
l'ambasciatore americano, Karl Eikenberry, aveva lasciato
all'improvviso la sede diplomatica più protetta al mondo per
una passeggiata nel centro di Kabul. Come un turista.
Ostentava un completo scuro, cravatta vivace, camicia bianca
e non indossava il giubbotto antiproiettile. «Per trasmettere
fiducia — aveva detto — e sottolineare come la capitale sia
sicura». Ventiquattro ore dopo, l'ambasciatore forse si è
pentito delle sue parole. A meno di 500 metri dalla fortezza
Bastiani a stelle e a strisce,
nella stessa area dove
«aveva trasmesso fiducia»,
ecco l’attentato. Messo a
segno nel «cuore
diplomatico-militare» di
Kabul. Con un tocco
beffardo: è stato favorito
dalla severità dei controlli.
Al termine del vialone che
viene dall'aeroporto, infatti, il traffico caotico rallenta
quando confluisce nella celebre rotonda dedicata a Ahmad
Shah Massoud, il leone del Panshir, eroe della resistenza ai
sovietici e ai talebani ucciso da due kamikaze nel 2001. A
destra della rotonda, circondata da bancarelle e palazzi grigi
costruiti dai sovietici, una stradina porta all'ospedale e alla
ex clinica della Croce rossa dove per anni Alberto Cairo ha
curato i mutilati dalla guerra. Il viale dell'aeroporto prosegue
per il centro, mentre a sinistra ci si deve fermare laddove
comincia la Great Massoud Road, uno splendido vialone
alberato, ma poco fruibile dai kabulini. Qui una serie di
checkpoint filtrano auto, moto, bici, pedoni. E i blindati delle
scorte e dei pattuglioni. Non a caso, i nostri soldati, che da
anni perlustrano questo distretto, hanno sempre tremato per
il rischio attentati. Un distretto supersensibile: sulla destra
un ministero, la tv, l'ambasciata Usa; sulla sinistra il
quartiere generale Isaf, l'Ambasciata d'Italia. Più avanti altri
ministeri, le ambasciate tedesca, turca, cinese, indiana.
Quanto al tempismo, i talebani hanno colpito poco dopo la
conferenza stampa di Karzai tenuta a meno di 2 km dal
luogo della strage. Karzai ha respinto le accuse di brogli
elettorali e ha ammonito che i veri vincitori sarebbero i
talebani se si certificasse che le elezioni sono state scorrette.
I talebani si sono fatti sentire subito. Con un messaggio
chiaro: «Non esistono santuari inviolabili».
Costantino Muscau
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Rivendicazione
«Abbiamo voluto dimostrare
che non esiste alcun sistema
per fermarci. Possiamo
arrivare ovunque»
Il ministro La Russa
quasi sessanta. I talebani —dal lo-
ro sito www.alemara.org, in lin-
gua dari e pashtun — provano a
scaricare le responsabilità per que-
ste vittime: «Non è colpa nostra,
sono i militari della Nato che han-
no cominciato a sparare all’impaz-
zata dopo l’attacco».
L’allarme per un rischio attenta-
ti nella provincia di Kabul era sta-
to diramato mercoledì. I contin-
genti internazionali erano stati av-
vertiti di possibili azioni contro i
palazzi del governo afghano o le
strutture della coalizione. I servizi
segreti segnalavano tre cellule. La
prima, composta da tre-quattro in-
tegralisti, si preparava a colpire
lungo la via dell’aeroporto. La se-
«Non posso escludere
che ci sia stato un
"warning" ma a me
non è mai arrivato»
Ci aspettavamo un
attentato, speravamo
però che non succedesse
❜❜
154029029.034.png 154029029.035.png 154029029.036.png 154029029.037.png 154029029.038.png 154029029.039.png 154029029.040.png 154029029.041.png 154029029.042.png 154029029.043.png 154029029.044.png 154029029.045.png 154029029.046.png 154029029.047.png 154029029.048.png 154029029.049.png 154029029.051.png 154029029.052.png 154029029.053.png 154029029.054.png 154029029.055.png 154029029.056.png 154029029.057.png 154029029.058.png 154029029.059.png 154029029.060.png 154029029.062.png 154029029.063.png 154029029.064.png 154029029.065.png
4 Primo Piano
Venerdì 18 Settembre 2009 Corriere della Sera
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La strage di Kabul Le vittime
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Le storie dei sei parà
Le origini, le famiglie, le speranze e le paure: la vita dei militari uccisi nell’attentato al convoglio
Davide Ricchiuto 26 anni
Bermuda e occhiali,
l’ultima foto spedita
«Mi sto rilassando»
Antonio Fortunato 35 anni
Matteo Mureddu 26 anni
Il gigante buono
che creò un parco
prima di partire
Sognava il battesimo
del suo nipotino
«Farò da padrino»
La licenza di 48 ore al mare
Era in missione da 4 mesi
In divisa per seguire il fratello
MILANO — L’ultima immagine
da Dubai. Bermuda a quadri, petto
nudo, una sigaretta in mano e gli
occhiali da sole, quelli sempre.
« Me sta rilassu », mi sto rilassan-
do. Davide Ricchiuto l’aveva invia-
ta con il telefonino agli amici po-
chi giorni fa. Quarantott’ore di li-
cenza breve per tirare un po’ il fia-
to, prima di risalire sul Lince che lo
avrebbe consegnato alla morte. Di
più non si poteva, mancavano gli
autisti.
Tiggiano ora piange. Il paese di
duemilaottocento anime nel Capo
di Leuca si è stretto intorno a Mari-
na, Angelo e Anna Lucia, mamma,
papà e sorella di Davide, il caporal
maggiore di 26 anni ucciso ieri in
un attentato a Kabul. Un aereo del-
l’Esercito è partito da Brindisi per
andare a prendere Ippazio, il fratel-
lo più grande, chef sul Lago di Gar-
da. In serata via Geno-
va, dove vivono i Ric-
chiuto, una casa bassa
con la porta affacciata al-
la strada, era ancora cu-
stodita dai militari, sia
da un lato che dall’altro,
per proteggere la fami-
glia. Non c’è stato biso-
gno. Nessuno ha varca-
to una sola transenna.
«Doveva essere la sua
ultima missione, aveva deciso di
tornare qui per restare», dice ades-
so il sindaco Ippazio Antonio Mor-
ciano. La sua giunta ha appena deli-
berato due giorni di lutto: uno per
i funerali di stato, l’altro per il rien-
tro della salma. Davide, autista in
forza al 186˚ Reggimento, sarebbe
dovuto rientrare a ottobre. Per lui
era la terza missione all’estero, do-
po il Kosovo e il Libano.
Il cugino Gianluca Ricchiuto si
sfoga: «A lui piaceva il suo lavoro,
non era mai stato un ripiego. Era
pieno di risorse, sapeva fare di tut-
to. A un certo punto aveva fatto an-
che il camionista in giro per l’Euro-
pa. E poi si intendeva di idraulica,
si arrangiava. Ma era molto intelli-
gente, lo scriva, perché si pensa
sempre che va a fare il soldato solo
chi non ha nient’altro ed è ignoran-
te. Davide invece era pratico e capa-
ce». Un ragazzo come tanti. Il cane
Rommel, la Bmw sempre tirata a
lucido, la vita all’aria aperta per ma-
re e per boschi. Così lo ricorda Ales-
sia Tarantini, una dei 38 amici che
il parà aveva su Facebook: «Amava
la sua terra. Desiderava un giorno
poterci tornare, ma quel giorno
non potrà mai arrivare. Davide sa-
peva bene il rischio che correva
con questa missione, però doveva
farla... Non poteva scegliere».
LeccePrima , il quotidiano online
della Puglia, racconta che quando
gliel’han detto, papà Angelo era al
lavoro, fa il muratore. «Angelo tor-
na a casa... tuo figlio... devi anda-
re». È salito sul primo mezzo che
ha trovato e ha guidato come un
matto fino a Tiggiano. Le tute mi-
metiche erano già lì. Chi li ha visti
parla di due genitori disperati e pie-
ni di rabbia. Una famiglia sempli-
DAL NOSTRO INVIATO
locale stazione, è arrivata una confer-
ma che nessuno avrebbe mai voluto
sentire. Ma c’è stato poco tempo da
perdere perché tutta la famiglia è su-
bito partita per Siena risparmiandosi
il calvario delle telecamere appostate
davanti a casa. Zie, cugine e altri pa-
renti sono rimasti per tenere aperta
la casa e per raccontare come era fat-
to quel ragazzone diventato tenente
dei parà senza fisime per la testa, ma
con l’orgoglio di appartenere all’Eser-
cito della Repubblica italiana.
Antonio Fortunato, dopo il diplo-
ma da geometra conseguito in un isti-
tuto di Moliterno, aveva pure lavora-
to al Comune come addetto della net-
tezza urbana: «Si dava molto da fare,
era pragmatico», racconta l’avvocato
Filippo Rautiis che conosce da sem-
pre la famiglia. Poi, la leva e il corso
allievi ufficiali: «Ma non aveva scelto
la divisa come un ripiego. Gli piace-
SOLARUSSA (Oristano) — L’antica
saggezza di un padre pastore: «Lui
era contento di fare il paracadutista.
Ma a star dietro alle pecore non si
muore». Due figli nella Folgore e Mat-
teo, il piccolo di casa, che per Stefa-
no, il maggiore, stravedeva e non ave-
va voluto sentire ragioni: «Farò come
lui». Augusto Mureddu ha in faccia
sole e rughe di una vita spesa in cam-
pagna col gregge, a suo tempo ha ac-
cettato quasi in silenzio la decisione
dei figli, entusiasti della vita militare.
Pochissime parole anche ieri, quan-
do hanno bussato alla porta e si è tro-
vato davanti la divisa di un generale;
ha appena abbassato gli occhi: «È qui
per Matteo, vero?».
Il caporalmaggiore Mureddu ave-
va un sogno: «Metto da parte un po’
di soldi e mi sposo». Lo aveva confi-
dato alla mamma quando era venuto
a maggio per abbracciarla prima di
partire per Kabul. Le ave-
va sussurrato: «Tranquil-
la, so quel che faccio, sarò
prudente. E poi è una mis-
sione di pace...». Telefona-
va ogni giorno e domeni-
ca era raggiante: «Ci stia-
mo preparando a ritorna-
re, sarò a casa fra due setti-
mane». Un mese fa la so-
rella Cinzia ha avuto una
bambina e lui le aveva pro-
messo: «Aspetta a battezzarla, voglio
farle io da padrino». Accasciata sul di-
vano, soccorsa da un medico, Greca
Mura, la mamma, ripete con un filo
di voce: «Matteo, figlio mio...». E poi:
«Mi aveva detto che non c’era perico-
lo; una bugia per non spaventarmi: al-
tro che missione di pace!».
Vita da paese, un ragazzone «alle-
gro, umile, generoso, pieno di voglia
di fare», così lo ricorda don Gianfran-
co Murru, per dieci anni suo parroco.
Solarussa, 2.300 abitanti, è al centro
del «triangolo della vernaccia», un vi-
no bianco dal vago retrogusto di man-
dorla. I Mureddu vivono dei prodotti
della terra e dal bestiame, un piccolo
gregge; hanno una casa all’estrema
periferia: un piano terra lindo e into-
nacato giallo tenue, un rialzato con i
mattoni grezzi e un lungo parapetto,
costruito per la famiglia — Stefano
38 anni, Cinzia 36, Matteo 26 — che
cresceva e mai rifinito, come le case
(molte) di chi vive con i soldi contati.
«Augusto ha lavorato giorno e not-
te per dare un avvenire ai ragazzi —
ricorda don Gianfranco — li vedeva
in campagna o in qualche posto sicu-
ro, nel pubblico impiego». Ma loro
avevano altro per la testa. «Matteo è
nato molti anni dopo i fratelli, non ce
lo aspettavamo più — ricorda la
mamma — e pensavamo ci facesse
compagnia nella vecchiaia». Invece,
qualche anno alle scuole industriali,
una mano al padre in campagna, il
servizio militare a Macomer, poi 6 an-
ni fa via da Solarussa alla brigata Fol-
gore, nel 2004 il brevetto di paracadu-
tista: Stefano a Pisa, Matteo a Siena.
Non era la prima volta che partiva in
«missione di pace», il caporalmaggio-
re era stato anche in Libano e nella ex
Jugoslavia, sei mesi: «Un’esperienza
entusiasmante». E voleva andare
TRAMUTOLA (Potenza) — Otto an-
ni fa, quando nacque suo figlio, deci-
se che il nome adatto per quel bambi-
no fosse Martinantonio perché, gli
avrebbe raccontato più tardi, «San
Martino è il patrono della fanteria
che una volta tagliò il suo mantello
per donarne un pezzo a un uomo bi-
sognoso».
Era fatto così il tenente Antonio
Fortunato, un gigante buono nato 35
anni fa a Tramutola dove la Lucania
naviga sul petrolio della Val d’Agri,
che ieri mattina comandava il ploto-
ne trasportato dal primo Lince dila-
niato da un’autobomba a Kabul. Al-
l’ora dell’esplosione che gli ha porta-
to via il padre, Martinantonio era a
scuola a Monteriggioni, in provincia
di Siena, dove frequenta la seconda
elementare. Invece la mamma, Gio-
vanna Passeri, lucana an-
che lei di Marsico Nuovo,
era stata assalita da un
brutto presentimento do-
po aver visto in tv le pri-
me immagini delle carcas-
se dei Lince. Ed era corsa
a Siena, fino alla caserma
del 186˚ della Folgore.
Da lì, in un baleno, la
conferma che dentro quei
resti fumanti c’era anche
il corpo del tenente Antonio Fortuna-
to è arrivata in contrada Masina, a
Tramutola, dove vivono i genitori,
Domenico e Rosa, suo fratello mino-
re Alessandro e Teresa, che è la più
piccola. In questo paesino di cinque-
mila anime le notizie dall’Afghani-
stan arrivavano come se provenisse-
ro della luna: «Ogni mattina al giorna-
le radio il padre, Domenico, faceva at-
tenzione e se c’era qualcosa restava
in ansia finché il figlio non telefona-
va. Antonio ha sempre chiamato, in-
vece stavolta il numero dei morti e la
violenza dell’esplosione ha portato
zio Domenico subito a pensare al peg-
gio. Proprio lui, che diceva al figlio di
trovarsi un lavoro più tranquillo».
Queste parole misurate di una cugina
dell’ufficiale, Antonietta, testimonia-
no lo smarrimento e il dolore che ha
invaso la casa dei Fortunato quando
da Siena, e poi con i carabinieri della
1˚ caporal maggiore
Tenente
Caporal maggiore
Davide Ricchiuto, primo
caporal maggiore, era nato
a Glarus (Svizzera) nel 1983.
Risiedeva a Tiggiano,
nel Salento, insieme
con la famiglia
Antonio Fortunato, 35 anni,
di Lagonegro (Potenza),
viveva con la moglie nel
Senese: a dicembre
avrebbero festeggiato 10
anni di matrimonio
Matteo Mureddu, 26 anni
di Solarussa (Oristano),
era figlio di un pastore e di
una casalinga. Un fratello
militare e una sorella, si
sarebbe dovuto sposare
ce, emigrante in Svizzera, dove Da-
vide era nato, a Glarus. Poi la scelta
di tornare in Italia, la vita in paese.
I figli che crescono e prendono la
loro strada. A casa resta Anna Lu-
cia, la più piccola, ventitré anni,
che ha appena inaugurato un nego-
zietto-laboratorio di ceramica, qua-
si attaccato a casa.
«Se devo morire, voglio farlo da
eroe», ripeteva il caporal maggiore
agli amici. Questo non li consola.
Bandiere a mezz’asta, a Tiggiano. Il
consiglio comunale previsto per
oggi non ci sarà. «Attività politica
sospesa fino al ritorno della sal-
ma». Sul sito Internet dell’ammini-
strazione, in home page , è in evi-
denza la sezione «Lavoro». Gli uni-
ci annunci sono per il «reclutamen-
to di volontari e truppa».
Elvira Serra
© RIPRODUZIONE RISERVATA
va, era consapevole e io dico che
l’Esercito deve essere orgoglioso di
aver potuto contare su uno come mio
cugino Antonio. Certo, partire dal pa-
ese a 18 anni con tante speranze sen-
za immaginare minimamente che a
35 anni poteva finire tutto in questo
modo atroce...», prosegue Antoniet-
ta.
avanti. «Mi sto preparando per un
avanzamento di carriera — aveva te-
lefonato in primavera — faccio la se-
lezione, ce la metto tutta». Era stato
promosso.
Solarussa non era più il futuro, ma
una grande parte dei ricordi di una
giovinezza senza pensieri. A Oristano
aveva conosciuto Alessandra Fiori, si
erano fidanzati, l’aveva portata con
sé a Siena. Lei fa la commessa in un
negozio di scarpe. Vivevano a Monte-
riggioni, lo scorso autunno avevano
deciso: «Ci sposiamo a giugno». Poi
l’annuncio della Folgore: si parte per
l’Afghanistan. E il rinvio: «Don Gian-
franco — aveva telefonato Alessan-
dra — rimandiamo al 2010, però vo-
gliamo già fissare la data; sempre a
giugno, il 13, non più a Solarussa, ma
a Oristano in cattedrale». Un sogno.
Alberto Pinna
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A Tramutola il sindaco Ugo Salera
ha fatto esporre le bandiere a mez-
z’asta, e anche a Monteriggioni ora
tutti hanno dato un nome a quell’ano-
nimo militare che insieme ad alcuni
commilitoni aveva bonificato e tra-
sformato in parco pubblico un vec-
chio aeroporto in disuso. Da maggio,
però, nessuno lo aveva più visto in
paese: la sua missione nell’inferno
dell’Afghanistan era iniziata quattro
mesi fa.
Dino Martirano
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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Corriere della Sera Venerdì 18 Settembre 2009
Primo Piano
5
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Il Vaticano Il Papa esprime la sua vicinanza nella preghiera per le vittime e la manifesta anche alle famiglie e a tutte le persone coinvolte
Quello che ferisce di più è il fatto che continui questa violenza proprio nei confronti di persone che sono impegnate per la pace
Benedetto XVI e Padre Lombardi
Roberto Valente 37 anni
Giandomenico Pistonami 28 anni
Massimiliano Randino 32 anni
Era appena arrivato
e sarebbe tornato
per sempre a Napoli
Su Facebook faceva
il conto alla rovescia
pensando alle nozze
L’ultimo abbraccio
del soldato attore
all’amico in congedo
Il trasferimento dopo 16 anni Gli mancavano solo 40 giorni «Beato te che sei pensionato»
NAPOLI — Ieri era l’onomastico
di Roberto Valente. E pochi giorni
fa era stato il compleanno di Simo-
ne, il suo bimbo di due anni. In fa-
miglia avevano fatto un’unica festa,
ma chiaramente al centro dell’atten-
zione c’era il piccolino, occhi azzur-
ri e l’abitudine di chiamare il papà
con il nome di battesimo. Roberto
forse aveva in mente di festeggiare
al ritorno da Kabul, sarebbe dovuto
venir via alla fine di novembre e sta-
volta avrebbe chiuso con l’estero,
probabilmente sarebbe andato a la-
vorare in un carcere militare, quello
di Santa Maria Capua Vetere.
In sedici anni passati nell’eserci-
to le missioni le aveva fatte tutte, o
quasi: Bosnia, Albania e Iraq, oltre
all’Afghanistan, dove per la prima
volta era arrivato il 22 maggio scor-
so. L’ultima invece proprio ieri mat-
tina, poco prima di morire. Da Na-
poli era partito mercole-
dì. Due settimane di li-
cenza prima di rifare lo
zaino e cominciare a con-
tare i giorni che lo divi-
devano dal ritorno e dal
tanto atteso trasferimen-
to definitivo nella sua cit-
tà.
lo Fortino e altri ufficiali sono venu-
ti per dare la notizia di quello che
era successo a Kabul. La tv era spen-
ta, nessuno aveva ancora visto un
tg o sentito le notizie alla radio.
Quando la signora Lucia ha aperto
la porta ai militari, ha detto: «Quan-
te belle divise, che ci fate qui?». Ha
sorriso, ed è stato ancora più diffici-
le darle la notizia.
Ha reagito con una forza d’animo
straordinaria, racconta chi era pre-
sente. Ha telefonato alla nuora che
era al lavoro e nemmeno lei aveva
sentito le notizie provenienti da Ka-
bul, poi ha cercato di calmare la zia
di Roberto. Con il sindaco Iervoli-
no, che è andata a farle visita nel po-
meriggio, si è confidata: «Forse stu-
pisce che io non riesca a piangere.
Ma il dolore ce l’ho dentro, solo che
adesso devo essere io a fare corag-
gio ai miei familiari».
DAL NOSTRO INVIATO
tornare con un regalo per Zueca dal-
l’Afghanistan: la data del loro matri-
monio. E su Facebook i due ragazzi
contavano i giorni alla rovescia per la
fine di questa missione: erano arriva-
ti a meno quaranta. È ancora lì che
viaggia nell’etere, quel macabro nu-
mero.
Zueca Pizzo si aggira invece attoni-
ta nella villetta che mamma Annarita
e papà Franco avevano cominciato a
costruire quindici anni fa, senza mai
finirla davvero. Nel pomeriggio di ie-
ri era una transumanza di disperazio-
ne quella villa con i mattoni rossi sul
tetto e il giardino curato e c’era anche
la disperazione di Annamaria, un’ami-
ca di Giandomenico e anche di Zue-
ca. In quel via vai era Annamaria che
diceva che già una volta il suo amico
era scampato ad un agguato a Kabul,
poche settimane fa. Non era giusto.
Zueca si aggira attonita, stordita,
SESTO FIORENTINO (Firenze) —
«Beato tu che sei pensionato, io tor-
no in missione, volo in Afghani-
stan», aveva detto il giorno prima
di partire a un amico, un ex milita-
re, incontrato in un supermercato.
Ma subito dopo il viso gli si era illu-
minato con quello sguardo ironico
e ammiccante dell’uomo soddisfat-
to del suo lavoro, anche se duro,
malpagato, pericoloso.
Il caporale maggiore Massimilia-
no Randino, 32 anni, originario di
Pagani (Salerno), da cinque anni in
Toscana, era appena partito per Ka-
bul dopo dodici giorni di licenza.
Una bacio alla moglie Pasqualina,
30 anni, anche lei di Pagani, biologa
in cerca di un lavoro, e poi zaino in
spalla, destinazione aeroporto.
«Da un anno era riuscito ad otte-
nere una casa del ministero della Di-
fesa a Sesto — racconta Domenico
Leggiero, pilota in pen-
sione, responsabile del-
l’Osservatorio militare
— e pagava finalmente
un affitto normale e non
astronomico come era
stato costretto a fare per
anni. Lo considerava un
punto di partenza per
avere più di sicurezza e
programmare un futuro
migliore». Amava lo
sport, Randino, il calcio e l’atletica,
e pure la recitazione, faceva parte di
una compagnia teatrale.
A dare la notizia alla moglie sono
stati alcuni commilitoni arrivati da
Pistoia, dove Massimiliano aveva la-
vorato prima del trasferimento a
Siena. Quando hanno suonato il
campanello di casa, Pasqualina sta-
va guardando le prime immagini in
tv. Non c’è stato bisogno di dire
niente. «Mi ha bussato alla porta —
racconta Angela, la vicina — era di-
sperata, gridava di voler morire per-
ché senza Massimiliano sarebbe sta-
to impossibile andare avanti. Poi gli
occhi le si sono illuminati. "Forse
hanno sbagliato, forse non è lui, tra
poco mi chiamerà". L’ho abbraccia-
ta forte e lei si è abbandonata al
pianto. Poi l’ho aiutata a fare le vali-
ge. Ho messo dentro anche un vesti-
to nero». Il sindaco di Sesto Fioren-
tino ha proclamato il lutto cittadi-
no.
Dolore anche a Nocera Superiore,
in provincia di Salerno, dove abita-
no i genitori. Un medico ha dovuto
somministrare loro un sedativo.
Mario, 63 anni, ex imbianchino in
pensione e la mamma Anna D’Ama-
to, 58 anni, hanno detto poche paro-
le abbracciando il figlio minore Ro-
berto, 21 anni. «Massimiliano è un
eroe, è morto facendo il proprio do-
vere». Un’altra figlia, Angela, 27 an-
ni, è in attesa di un bambino, vive
con il marito in un paese vicino.
Anche il sindaco di Nocera Supe-
riore ha proclamato per domani il
lutto cittadino e ha annunciato che
intitolerà una strada al caporale
maggiore. Il comune si fermerà, do-
mani, ma non il calcio e la squadra
locale scenderà in campo se pur
con il lutto al braccio. Lo hanno
LUBRIANO (Viterbo) — Giandome-
nico aveva un sogno, a 26 anni: sposa-
re Zueca e vivere felice. Lui, lei e in
macchina l’inseparabile paracadute
vicino ai seggiolini dei bambini che
sarebbero arrivati, tanti, speravano
loro, tutti e due figli unici.
Il caporal maggiore Giandomenico
Pistonami, aveva la faccia pulita e il
sorriso pronto anche lì giù, sul fronte
militare. «Dai Riccardo che adesso ti
porto con me a Kabul», aveva detto
ridendo quest’estate al telefono a Ric-
cardo Pizzo, suo amico di infanzia, an-
che lui paracadutista della Folgore.
Era la prima volta che Giandomeni-
co andava in Afghanistan, era partito
il 4 maggio scorso. Ma questa di Ka-
bul era già la sua seconda missione:
la prima l’aveva fatta in Libano, due
anni prima. «Il mio qui a Kabul è il
ruolo più importante del-
la pattuglia, ho più cam-
po visivo e uditivo, con
un gesto posso fermare le
macchine che passano…
». Aveva parlato e parlato
Giandomenico in quell’in-
tervista che sull’ Espresso
è uscita nell’agosto scor-
so e che adesso a rilegger-
la mette i brividi.
Perché Giandomenico
lo aveva capito che il suo era un lavo-
ro pericoloso e lo aveva raccontato al-
la giornalista del settimanale: «Pur-
troppo la mia famiglia guarda i tele-
giornali e si preoccupa, ma sono tran-
quilli quando mi sentono tranquil-
lo». Purtroppo ieri mattina è stato il
generale della Sas di Viterbo che a
mezzogiorno ha dovuto varcare la so-
glia di quella villetta a Santa Caterina,
appena fuori Lubriano, nemmeno
mille anime strette tra Orvieto e il Vi-
terbese.
Annarita era in casa, a quell’ora.
Franco no, era al suo lavoro nella dit-
ta Chiamparino, quindici chilometri
più in là. È impossibile trovare le pa-
role giuste per dire ad una madre e
ad un padre che il loro unico figlio
tornerà in Italia dalla sua missione a
bordo un aereo militare, chiuso in
una bara avvolta nel tricolore.
Giandomenico aveva pensato di
Sergente maggiore
1˚ caporal maggiore
Caporal maggiore
Alle solite raccoman-
dazioni dei parenti, ave-
va risposto «io devo tor-
nare», perché c’era Simone che sta-
va crescendo, e c’era Stefania, la mo-
glie, che aspettava quel momento
come null’altro. Gli era stata accan-
to durante gli anni passati a Livor-
no, ma da quando erano tornati a
Napoli e avevano preso casa nel par-
co a Fuorigrotta dove Roberto è na-
to 37 anni fa e dove abitano ancora
sua mamma e i fratelli, con il mari-
to aveva condiviso la casa solo nei
periodi di licenza.
Ora Stefania dice: «Mio marito è
un paracadutista, e io sono orgo-
gliosa di lui». Chiusa dentro, le so-
no accanto gli psicologi dell’eserci-
to, oltre ai genitori e gli amici più
stretti. Dall’altra parte del parco c’è
la casa della mamma di Roberto, la
signora Lucia, 77 anni, che vive con
gli altri due figli, un ragazzo e una
ragazza, e con un’anziana sorella. È
qui che ieri mattina il generale Car-
Roberto Valente, 37 anni,
viveva a Napoli, quartiere
Fuorigrotta. Lascia la moglie
e un figlio di due anni. Aveva
appena trascorso 15 giorni
di licenza con la famiglia
Giandomenico Pistonami
aveva 28 anni. Figlio unico,
era fidanzato con una
ragazza di Lubriano
(Viterbo), dove viveva. Papà
operaio, mamma casalinga
Massimiliano Randino, 32
anni, viveva a Sesto
Fiorentino con la moglie:
la coppia non aveva figli.
Aveva appena trascorso
una lunga licenza a casa
Lo stesso coraggio dimostrato,
da lei e da Stefania, nell’ascoltare,
poche ore più tardi, il racconto de-
gli ultimi attimi di vita di Roberto.
A riportarglieli è Vincenzo, il fratel-
lo del caporal maggiore Ferdinando
Buono che era anche lui sul convo-
glio assaltato ed è rimasto ferito a
un braccio. Ai familiari ha racconta-
to quei momenti via sms.
«Mio fratello nonostante la ferita
poteva muoversi — ha raccontato
Vincenzo — e mentre cercava di
scappare dal fuoco, si è accorto del
compagno seduto davanti. Era Ro-
berto. Stava riverso e non si muove-
va. Ferdinando lo ha preso in brac-
cio e lo ha portato via, verso il luo-
go di soccorso più vicino. Ma pur-
troppo non c’era già più niente da
fare».
Fulvio Bufi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
sembra non abbia ancora capito che
Giandomenico non potrà mai più var-
care il cancello per stringerla tra le
braccia e anche Don Luigi non sem-
bra convinto che sia la grande fede
nella Madonna (la Madonna del Pog-
gio, il santuario che lei accudisce da
tre anni) a sostenere la ragazza, ma
ancora una protezione che arriva dal-
la vita, in maniera istintiva. La ragaz-
za continua a sostenere con forza i ge-
nitori, addirittura a coccolare mam-
ma Annarita che non ha mai smesso
di piangere da quando il generale del-
la Sas è entrato dentro casa e ci sarà
soltanto un momento nella giornata
in cui troverà la forza di asciugare le
lacrime, l’anima, i pensieri. Un sus-
surro di orgoglio, quasi di gioia: «Si,
Giandomenico mio sono fiera di te.
Del mio angelo militare».
Alessandra Arachi
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chiesto i genitori di Massimiliano
perché il figlio era un grande tifoso.
Non mancano le polemiche. Il ve-
scovo di Nocera, monsignor Gioac-
chino Illiano, in un messaggio ha
definito azioni di guerra vera e pro-
pria le missioni di pace. «Il governo
dovrebbe assicurare maggiore tute-
la a questi ragazzi», ha scritto il pre-
lato. Aggiungendo poi che «molti
giovani scelgono questa professio-
ne per sfuggire alla povertà e soste-
nere la propria famiglia. Questo de-
ve far riflettere in maniera particola-
re le istituzioni».
Un messaggio di cordoglio è sta-
to espresso anche dall’arcivescovo
di Firenze, monsignor Giuseppe Be-
tori, che ha invocato «il premio dei
giusti per questo figlio della nostra
terra, morto per costruire la pace».
Marco Gasperetti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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