Il fatto Quotidiano - 29.10.2009.pdf

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il fatto
Berlusconi piomba a Ballarò zittisce tutti e insulta i
magistrati. Come se fosse a casa sua. Vero Floris?
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w w w. i l f a t t o q u o t i d i a n o. i t
G i ove d ì 29 ottobre 2009 – Anno 1 – n° 32
Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma
tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
€ 1,20 – Arretrati: € 2,00
Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46)
Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
UNIVERSITÀ PUBBLICA ADDIO
TV SORRISI
E CALZINI
Largo ai privati, puniti ricercatori e studenti
perde una causa civile in primo grado, la
sentenza è immediatamente esecutiva e, di
solito, la richiesta di sospensiva viene respinta:
paga subito i danni, dopodiché può ricorrere in
secondo e terzo grado: e alla fine, se gli danno ragione
in appello e in Cassazione, chiede i soldi indietro. Se
invece la causa in primo grado la perde l’azienda del
presidente del Consiglio, che è anche l’uomo più
ricco d’Italia e il premier più ricco del mondo, la
sospensiva scatta in automatico, perché il poverino
non ha di che sfamare le sue due famiglie e la
numerosa prole, senza contare che ha pure la
scarlattina. C’è poi un piccolo dettaglio che, se
fossimo come lui, utilizzeremmo a reti ed edicole
unificate per screditare il giudice: il presidente della II
Corte d’appello civile di Milano che ha deciso la
sospensiva si chiama Giacomo Deodato e ha lo stesso
cognome e le stesse origini messinesi di un ex
deputato di Forza Italia (per due legislature: dal 1996
al 2006): Giovanni Deodato. Ora, pare che i due
Deodato da Messina non siano soltanto omonimi e
concittadini, ma fratelli. Cioè: il giudice che ha salvato
la Fininvest dall’obbligo di pagare subito 750 milioni a
De Benedetti per lo scippo Mondadori, è il fratello di
un esponente del partito del padrone della Fininvest.
Il tipico comunista. Immaginate la stessa notizia a
parti invertite: un giudice dà ragione a Di Pietro ed è il
fratello di un tizio che fino a tre anni fa era deputato
dell’Italia dei Valori. E figuratevi l’uso che ne
farebbero i vari Feltri, Belpietro, Vespa, Betulla,
Brachino o la voce bianca di Studio Aperto, per non
parlare dei berlusconiani travestiti del Pompiere della
Sera. Altro che pedinamenti a caccia di calzini
turchesi. L’anno scorso, quando una gip di Salerno
accolse la richiesta di archiviazione dei pm per
un’indagine su De Magistris e si scoprì che era
addirittura la cognata di Santoro, la banda del buco
inscenò una gazzarra infernale solo perché Santoro
aveva invitato due volte De Magistris ad Annozero.
Su questo malvezzo di difendersi dai processi
screditando i giudici anziché rivendicare la propria
innocenza, ha già scritto mirabilmente Massimo Fini
sul Fatto. Fino a prova contraria, se il giudice
Deodato ha concesso la sospensiva alla Fininvest,
non è perché è una toga azzurra: avrà avuto i suoi
buoni motivi. E solo un malato di mente può inferire
la sua appartenenza a Forza Italia da quella del
fratello. E, anche se votasse Forza Italia,
bisognerebbe ancora dimostrare che le sue simpatie
politiche hanno influenzato la sua decisione.
Ciascun giudice ha il sacrosanto diritto di avere le
sue idee politiche e di vedersi riconosciuta la buona
fede, sempre fino a prova contraria. Purtroppo però
è un privilegio che, in questo paese di merda, tocca
soltanto al giudice che dà ragione a Berlusconi.
Infatti ieri, mentre la Fininvest incassava la
sospensiva e risparmiava 750 milioni, l’on. avv.
Ghedini così commentava la condanna di Mills: “Si
conferma che a Milano non si possono celebrare
processi quando vi sia un collegamento col
presidente Berlusconi”. Dimenticava di aggiungere:
“Salvo quando incontriamo Deodato e le decine di
giudici che ci han regalato tre assoluzioni e sei
attenuanti generiche con prescrizione incorporata”.
Ma dimenticava pure – gliel’ha rammentato Luigi
Ferrarella sul Corriere – che due anni fa il giudice
che ha ricondannato Mills, Flavio Lapertosa, è lo
stesso che aveva assolto il Cavaliere nel processo
Sme-Ariosto, con una sentenza che definire
stiracchiata è un complimento. Non si ricordano
all’epoca tuoni e fulmini ghediniani contro l’intera
magistratura milanese. Eppure proprio quella
sentenza era l’ennesima “conferma che a Milano non
si possono celebrare processi quando vi sia un
collegamento col presidente Berlusconi”. Perché, di
riffa o di raffa, trovano sempre il modo di dargliela
vinta. Preferiscono vivere.
rito. E più privato uguale più
qualità. Sono queste le equazio-
ni che stanno dietro il provve-
dimento sull’università approvato ieri
da Palazzo Chigi. Era dai tempi del sedi-
cente “pacchetto sicurezza” che il volto
ideologico della destra che ci governa
non lasciava un’impronta tanto nitida. E
lo si deve alla furia riformatrice di una
figlia della Bergamasca come Mariastella
Gelmini, il ministro dell’Istruzione che
per diventare avvocato scese a sostene-
re l’esame in Calabria, in un’ottica di
“istruzione patria” di chiara marca dea-
micisiana (dalle Alpi all’Appennino e ri-
tor no).
La realtà della riforma va oltre gli slogan
ed è di volgare concretezza: come per la
scuola, non c’è un soldo bucato neppu-
re per gli atenei. Giulio Tremonti non
sgancia e la Gelmini, che proprio ieri ha
confessato al suo ideologo di riferimen-
to Maurizio Costanzo di voler crivere un
libro di “favole regionali” manco fosse
Italo Calvino, copre così la sua triste real-
tà di piccola fiammiferaia di Viale Traste-
vere. Ci sono meno denari per gli stu-
denti più bravi, ma si racconta che i cri-
teri di attribuzione saranno più severi e
meritocratici. Ci sono meno soldi per gli
atenei pubblici e si restringe ulterior-
mente il diritto allo studio sancito dalla
Costituzione, ampliando il ricorso agli
odiosi test d’ingresso. Si vuole limitare
l’offerta formativa delle università stata-
li, limitandone l’autonomia, e si copre il
tutto con l’ingresso del famoso “merca-
to”.
Se almeno avessero il coraggio della pro-
vocazione culturale, si potrebbe discu-
tere con una certa allegria. Potremmo
chiudere gli occhi sugl’interessi dei pri-
vati “sussidiati” ai quali abbiamo assisti-
to nella sanità e nei servizi pubblici es-
senziali. Potremmo berci la storiella che
il contributo scientifico e culturale di
Sciùr Brambilla e Cumènda vari sia la ve-
ra modernità. Potremmo perfino ripe-
scare meravigliose
provocazioni liber-
tarie come quelle
di Enzensberger
per un “ritorno al
precettore”. Poi pe-
rò uno vede l’om-
bra di Giulietto Ma-
ni di Forbice e capi-
sce che la prima fa-
vola della Gelmini
ha per titolo “L’ate-
neo dimezzato”. E
allora la può rac-
contare giusto al
Costanzo Show.
Tremonti taglia in cinque anni più di
mille milioni di euro e riduce gli atenei
sul lastrico . Poi chiama in aiuto i privati
ai quali ne affida di fatto la gestione.
E i precari sono sempre più a rischio
Perniconi pag. 10 e 11 z
U di Peter Gomez
COSA NOSTRA
T R AT TA
ANC ORA
L o spettro del grande ricatto a
Berlusconi che da mesi si ag-
gira nei palazzi della politica ro-
mana, si materializza a Palermo il
6 ottobre. Quel giorno all’im-
provviso il pentito Spatuzza, l’ex
reggente della famiglia mafiosa
di Brancaccio, autore materiale
delle stragi del ‘93 e killer di don
Puglisi, dà un senso alle parole di
Bossi e Maroni, che sempre più
spesso parlano di uno scontro
tra il governo e mafia. pag. 2 z
C AT T I V E R I E
Mariastella Gelmini
annuncia al Costanzo Show
che nel 2010 scriverà
un libro di fiabe .
S’intitolerà:
come sono diventata
avvocato
CASO MARRAZZO x Vortice di voci: altri parlamentari ricattati?
CHI VA CON I TRANS
Gira una lettera anonima su un esponente della destra.
Molti dicono: è saltata ogni protezione sulle nostre vite private.
Altri accusano: via Gradoli? lo sapevano tutti. Lillo e Telese pag. 4 e 5 z
I l lu s t ra z i o n e
di Manuela
Nardi. In alto,
l i b e ra
i n t e r p re t a z i o n e
dell’ “A l l ego r i a
della
m e n z og n a ” di
Salvator Rosa,
di Roberto
C o r ra d i
n Giornali
Redazioni vuote
vendite
gonfiate
Zanca e De Carolis pag. 3 z
n il libro
Eros Terminal
il viagra
e il potere
Oliviero Beha pag. 14 z
NON C’È UN EURO
di Marco Travaglio
S e un quisque de populo, parlo per esperienza,
di Francesco Bonazzi
M eno autonomia uguale più me-
L’ONOREVOLE TREMA
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pagina 2
B erlusconi? Totò Riina lo vedeva “ come
Giovedì 29 ottobre 2009
POTERI OCCULTI
I giudici: centinaia
un soggetto che doveva pagare (alla
stregua di tanti altri imprenditori), sia
come un soggetto che avrebbe potuto aiutare
l’organizzazione mafiosa
sul piano politico”. La storia del premier, da
sempre in trattative con Cosa Nostra, è raccontata
nella sentenza di primo grado che ha condannato
Marcello dell’Utri a nove anni di reclusione per fatti
mafia. Il tribunale dà per certo il versamento
annuale a Cosa Nostra di centinaia di milioni di lire
da parte della Fininvest e, in una telefonata
intercettata, è lo stesso Berlusconi a dire, dopo un
attentato alla sua abitazione milanese, di aver
spiegato ai carabinieri che se il boss Vittorio
Mangano gli avesse “chiesto 30 milioni” lui “glieli
avrebbe dati”. Per questo adesso i magistrati
esaminano con attenzione anche una lettera di
Vito Ciancimino indirizzata nel ‘94 al premier, in cui
l’ex sindaco mafioso di Palermo, scrive: “Se passa
molto tempo e ancora non sarò indiziato d’ingiuria
sarò costretto a uscire dal mio riserbo che dura da
a n n i . . .”. Berlusconi, infatti, almeno di fronte alla
mafia, non denuncia. Ma, per i giudici, paga.
di milioni da Fininvest
a Cosa nostra
LAMAFIATRATTAANCORA
quio investigativo con i
pm della super procura,
incontrai nel carcere di
Tolmezzo, Filippo Graviano. Gli
spiegai che ormai da quattro anni
mi ero staccato da Cosa Nostra, ma
che non potevo fare il passo finale.
Non potevo mettermi a collabora-
re. Filippo stava veramente male.
Aveva appena avuto un infarto, ma
mi disse con un filo di voce: ‘a que-
sto punto bisogna far sapere a mio
fratello Giuseppe che, se non ar-
“Sarà un caso che la mafia inizi ad
innervosirsi... Abbiamo segnali
che alcuni pezzi grossi della mafia
in carcere stanno pensando di fare
qualcosa. Ma noi andiamo avanti”,
aveva detto il 13 settembre l’uomo
del Viminale. “Penso che il caso
delle escort sia stato messo in piedi
dalla mafia: abbiamo fatto leggi pe-
santissime. L' ho spiegato anche a
Berlusconi, chi ha in mano le pro-
stitute è la mafia», gli aveva fatto
eco il fondatore del Carroccio.
Certo, entramb i i leghisti sosten-
gono che Cosa Nostra reagisce alle
(presunte) iniziative dell’esecuti-
vo contro le co-
sche. Ma, ac-
canto a questa
interpretazio-
ne, ve ne un’al-
tra, molto più
accreditata da
investigatori e
magistrati. “La
trattativa”tra
Stato e mafia,
proprio come
raccontato da
Spatuzza, è ancora in corso. E in
carcere i boss delle stragi, stanchi
di attendere una soluzione politica
a lungo promessa, ma non ancora
completamente realizzata, adesso
minacciano di vendicarsi raccon-
tando cosa è davvero successo nel
1993-94: il periodo in cui, stando
alla sua sentenza di condanna in
primo grado, Marcello Dell’Utri,
allora impegnato nella creazione
di Forza Italia, stringeva accordi
con gli uomini dei clan.
Attenti: non è fantapolitica. Per-
ché i segnali, che dicono come in
Cosa Nostra sia in corso un cam-
biamento epocale, si stanno mol-
tiplicando. Ormai molti uomini
d’onore non pentiti prendono la
parola nei loro processi. E, per la
prima volta, lo fanno per difender-
si senza però negare la loro appar-
tenenza all’organizzazione. Ha co-
minciato Salvatore Lo Piccolo, il
boss che sperava di succedere a
Bernardo Provenzano. Poi è stato il
turno di Nicola Mandalà, il ragazzo
di Villabate figlio di un dirigente di
Forza Italia, che per anni aveva
protetto la latitanza di zu’ Bino: “È
vero sono mafioso, ma quell’uomo
non l’ho ucciso io”, ha detto in aula
Nicola lasciando tutti di stucco. In-
fine, il 28 settembre, a parlare è sta-
to il più importante di tutti: Giu-
seppe Graviano, 46 anni, 15 dei
quali trascorsi in prigione.
Durante il processo contro l’ex se-
natore democristiano Vincenzo
Inzerillo - un politico che nel ‘93,
secondo l’accusa, sapeva come le
stragi fossero opera dei fratelli Gra-
viano, ma che tentò di convincerli
a desistere - Graviano è intervenu-
to in videoconferenza dal carcere
milanese di Opera. E quando gli è
stato chiesto, “Signor Graviano lei
fa parte di Cosa Nostra”, ha rispo-
sto secco: “Sono stato condannato
per 416 bis (associazione mafiosa
ndr)”.
Eccola qui, allora, la grande pau-
ra di Silvio Berlusconi. Eccola qui,
nascosta dietro le facce apparen-
temente pulite di Filippo e Giusep-
pe, due capi mafia non ancora cin-
quantenni, che in carcere indossa-
no giacche all’inglese e golfini di
cachemire. E che, nel 1996, sono
persino riusciti a far uscire di pri-
gione due provette grazie alle quali
le loro mogli hanno avuto un figlio.
Dietro le sbarre i Graviano si sono
diplomati. Giuseppe ora spera ad-
dirittura di laurearsi in biologia
molecolare e intanto conta i giorni
che lo separano dalla morte. Sì, la
morte. Perché, per quelli come lui,
per i mafiosi che da ragazzi davve-
ro pensavano di piegare la politica
a colpi di tritolo, sui ruolini delle
prigioni sta scritto: “fine pena
mai”.
Eppure una volta tutto era diver-
so. Nel gennaio del ‘94, racconta
Spatuzza , Giuseppe “era felicissi-
mo, sembrava uno che aveva vinto
al superenalotto”. Seduto a Roma,
a un tavolino del bar Doney, ripe-
teva: “Abbiamo chiuso tutto. Ab-
biamo chiuso tutto”. Sosteneva
che con Berlusconi e Dell’Utri era
stato raggiunto un accordo: “Il
paese è in mano nostra”, diceva
prima di ordinare a Spatuzza di
“dare il colpo di grazia”. Cioè di uc-
cidere cento carabinieri con un at-
tentato, poi fallito, allo Stadio
Olimpico.
Come è andata finire è cronaca. Il
27 gennaio i fratelli Graviano ven-
gono arrestati a Milano proprio dai
militari dell’Arma e, da quel giorno
in poi gli investigatori cominciano
a parlare dei loro presunti collega-
menti con Dell’Utri e Forza Italia.
All’ombra della Madonnina, infat-
ti, i Graviano ci stavano ormai da
due mesi. E con loro, negli ultimi
giorni, c’erano pure le fidanzate e
due uomini, con mogli e figli. Uno
era il padre dell’attuale centrocam-
pista dell’Udinese, Gaetano
D’Agostino. Le carte processuali
raccontano che, prima un com-
merciante palermitano di vestiti
legato a Dell’Utri e alla mafia, e poi
forse gli stessi Graviano gli aveva-
no promesso di far giocare il figlio
nei pulcini Milan. “Stai tranquillo
vedrai che ti troviamo anche un
posto di lavoro a Euromercato (al-
lora gruppo Fininvest ndr), lo ras-
sicuravano i boss. Dell’Utri nega.
Ma almeno i rapporti tra i Graviano
e la neonata Forza Italia, non pos-
sono essere smentiti.
Uno dei cellulari usati dai fratelli
durante la latitanza, chiamava
spesso il presidente del club di az-
zurro di Misilmeri, Giovanni La Lia,
cugino del boss Salvatore Beni-
gno, pure lui condannato per le
stragi del ‘93. E sempre La Lia era
presente alla prima grande riunio-
ne del movimento di Berlusconi
Palermo. Quelli di Forza Italia
l’avevano organizzata a Bracaccio,
nell’Hotel San Paolo Palace, l’al-
bergo a cinque stelle di un altro im-
portante presidente di club: il co-
struttore Giovanni Ienna, un im-
prenditore che investiva i soldi di
Filippo e Giuseppe. Per questo og-
gi, mentre in carcere i due fratelli
contano i minuti e pensano il dà
farsi, le tracce di quel traffico te-
lefonico a Palazzo Chigi fanno pau-
ra. Più dei ricatti delle escort. Più
delle indagini dei “pm comuni-
sti”.
Secondo investigatori
e magistrati sono vere
le rivelazioni di Spatuzza
sui nuovi contatti
con le istituzioni
Silvio Berlusconi
riva niente da dove deve arrivare, è
bene che anche noi cominciamo a
parlare con i magistrati’”.
Lo spettro del grande ricatto a Silvio
Berlusconi che da mesi si aggira nei
palazzi della politica romana, si ma-
terializza a Palermo il 6 ottobre. Quel
giorno all’improvviso il pentito Ga-
spare Spatuzza, l’ex reggente della fa-
miglia mafiosa di Brancaccio, autore
materiale delle stragi del ‘93 e killer
di don Pino Puglisi, dà un senso alle
parole del leader della Lega Umberto
Bossi e a quelle del ministro degli In-
terni, Roberto Maroni, che sempre
più spesso parlano di uno scontro tra
il governo e Cosa Nostra.
VOLI DI STATO di Antonella Mascali
Il Tar chiede conto
a B. di Apicella & C
Il procuratore aggiunto di Milano, Robledo:
Toghe rosse? Sì, dal sangue versato da Falcone
S ilvio Berlusconi deve dare conto al
di Gianni Barbacetto
sembra buona per denigrare l’ordine
giudiziario e descrivere i palazzi di giu-
stizia come sezioni di partito. Nessun
ufficio giudiziario merita queste infon-
date e ridicole definizioni, tanto meno
quello di Milano. Rispondiamo solo alla
legge e alla Costituzione: i magistrati
non devono essere intimiditi». Ma sono
state le parole di Robledo ad avviare
una piccola valanga di messaggi di so-
stegno. Il più vibrante è quello di Gio-
vanni Tamburino, oggi giudice di sor-
veglianza a Venezia: «Bravo Alfredo Ro-
bledo. Bravo perchébastano poche pa-
role. Tre. Rossi per il sangue versato.
ROSSI PER IL SANGUE VERSATO. È
proprio così. Ricordiamolo. Stavolta
davvero tutti. E diciamolo. Ripetiamo-
lo. Scriviamolo a intestazione dei mes-
saggi, delle lettere, delle mailing list. Da
oggi. Fino a quando? Fino a quando non
ve ne sarà più bisogno».
Tamburino è un magistrato che ha visto
la nascita del termine «toghe rosse» e
che ha memoria delle due stagioni de-
gli attacchi ai magistrati. La seconda,
quella in corso, è nata dopo “Mani pu-
lite” come reazione alle indagini (e poi
alle sentenze) sulla corruzione degli
uomini della politica. Ha in Berlusconi
il suo campione assoluto, ma ben an-
ticipato da Bettino Craxi che attaccò
duramente i magistrati di Milano che
osarono mettere in carcere Roberto
Calvi per la bancarotta dell’Ambrosia-
no. La prima stagione d’attacchi (oggi
ormai dimenticata) nacque invece nel
marzo 1972: quando uno sconosciuto
giudice istruttore di Treviso, Giancarlo
Stiz, con il pm Pietro Calogero, aprì la
“pista nera” nelle indagini sulla strage
di piazza Fontana: la stampa di destra si
scatenò per la prima volta contro i “giu-
dici comunisti”. Non importava che
Stiz, uomo d’ordine, provenisse da una
famiglia di tradizioni militari. Due anni
dopo, fu la volta di un altro uomo d’or-
dine, Giovanni Tamburino appunto, al-
lora giudice a Padova, a cui fu assegnata
per caso un’indagine proveniente da La
Spezia: quella sui tentativi golpisti della
Rosa dei venti. Poi toccò, a Milano, a
Gerardo D’Ambrosio ed Emilio Ales-
sandrini, che ereditarono l’inchiesta su
piazza Fontana proveniente da Treviso.
A Bologna, a Libero Mancuso e Claudio
Nunziata, che per dieci anni ha dovuto
difendersi dalle accuse disciplinari e
penali. Poi è stata la volta di Giuliano
Turone e Gherardo Colombo a Milano,
colpevoli di aver scoperto le liste della
P2. Nella prima stagione, almeno, il co-
munismo esisteva ancora. Oggi di ros-
so resta proprio solo il sangue versato.
Tar del Lazio di due voli di Stato
con a bordo ragazze e il cantastore per-
sonale, Mariano Apicella, effettuati
nell’estate 2008 per andare da Roma a Vil-
la certosa, in Sardegna.
Il tribunale amministrativo si è mosso su
ricorso dell’associazione dei consumato-
ri, Codacons, contro la direttiva della pre-
sidenza del Consiglio, che il 25 luglio
2008, ha allargato i casi in cui si possono
usare i voli di Stato. Berlusconi, secondo
un’ordinanza del Tar, ha un mese di tem-
po per esibire questa direttiva, come chie-
sto dal Codacons.
I voli che il Premier dovrà giustificare,
sono gli stessi che il Tribunale dei mini-
stri ha giudicato regolari, archiviando
le accuse di abuso d’ufficio e peculato
perché, secondo i giudici, su quegli ae-
rei gli ospiti erano sempre accompa-
gnati dal presidente del Consiglio e la
materia è "interamente regolata da di-
rettive della presidenza del Consiglio
dei ministri".
sato”. Alfredo Robledo, procurato-
re aggiunto a Milano, è abituato a parlar
chiaro. Così, quando i cronisti delle
agenzie gli hanno chiesto come aveva
reagito alle parole di Silvio Berlusconi a
“Ballarò” («La vera anomalia italiana so-
no i pm e i giudici comunisti»), ha ri-
sposto così: «Se le nostre toghe sono
rosse, lo sono per il sangue versato dai
magistrati che hanno pagato con la vita
la difesa della legalità e dei valori co-
stituzionali, a cominciare da Falcone e
Borsellino», e di tutti gli altri che «han-
no perso la vita in nome della difesa
della legalità».
L’Associazione nazionale magistrati in
una nota ha scritto: «Ogni occasione
Dura replica dopo
l’attacco del premier
alla magistratura
durante la puntata
di Ballarò
Da mesi aleggia lo spettro
di un ricatto a Berlusconi da parte di Cosa Nostra
di Peter Gomez
“N el 2004, dopo un collo-
“T oghe rosse? Sì: per il sangue ver-
174077653.014.png 174077653.015.png 174077653.016.png
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I l dibattito sui finanziamenti pubblici
Giovedì 29 ottobre 2009
SOLDI BUTTATI
Le testate che nessuno
all’editoria si è riaperto perché Radio
Radicale batte i pugni. All’emittente -
che da anni trasmette dirette parlamentari, fa
rassegne stampa seguitissime, e offre un
autentico servizio pubblico - il governo
minaccia di non rinnovare la convenzione
ministeriale. Lei rischia di chiudere. Altri
navigano nell’oro. Decine e decine di testate
che continuano a ricevere soldi dallo Stato,
attraverso gli escamotage più bizzarri: testate
organo di partito (basta la firma di un paio di
parlamentari), cooperative di giornalisti,
tirature gonfiate ad arte. Non si tratta solo
della stampa nota ( Il Foglio , l’Unità , Il Riformista ,
la Padania , Il Manifesto ), ma soprattutto di
realtà sconosciute ai più. Qualche esempio?
Notizie Verdi : la società che lo edita becca due
milioni e mezzo di euro l’anno. CronacaQui.it :
altri tre milioni e sette. La Voce
Repubblicana ha preso invece ‘solo’ 624 mila
euro nel 2008. Un’enormità per un giornale
che nemmeno gli edicolanti hanno mai sentito
nominare.
ha mai letto ma
costano milioni di euro
REDAZIONI VUOTE VENDITE GONFIATE
Nel 2011 sarà applicato il nuovo regolamento all’editoria
IL MISTERO DEI SOLDI AI GIORNALI
Fine-vita,
il Pdl punta
sul testo
del Senato.
Pd e Idv
insor gono
di Paola Zanca
P iù di duecento milioni
dici milioni di euro. Intanto,
il Consiglio dei ministri pro-
prio ieri ha approvato il nuo-
vo Regolamento sui contri-
buti pubblici all’editoria. Sarà
operativo dal 2011: secondo
le nuove norme, il calcolo dei
contributi verrà effettuato in
base alla vendita effettiva del-
le copie e non alla semplice
diffusione, per evitare il truc-
chetto delle copie regalate.
Inoltre, potranno ricevere il
finanziamento pubblico solo
le aziende che hanno regolar-
mente assunto giornalisti e
poligrafici. Resta da capire
dove si troveranno i soldi. Al
momento mancano perfino
70 milioni di euro dei con-
tributi per il 2009, con una
serie di testate a rischio chiu-
sura, perché sull’arrivo di
quei soldi avevano già fatto
affidamento. Se lo chiede la
Federazione Nazionale della
Stampa: "Se il regolamento
innovativo dovesse interveni-
re di fronte ad una realtà nel
frattempo impoverita di te-
state e occupazione a causa
di obblighi finanziari non
mantenuti, ogni novità sareb-
be inefficace”. “Da settimane
- ricorda anche il portavoce
di Articolo21 Giuseppe Giu-
lietti – siamo in attesa di
un'audizione del sottosegre-
tario Bonaiuti per chiedergli
che fine hanno fatto i 70 mi-
lioni per il settore, dei quali il
Parlamento ha votato il rein-
tegro nei fondi per il 2009.
Non si può esprimere alcun
giudizio sul regolamento –
conclude – se non si chiari-
sce prima il mistero dei finan-
ziamenti”.
EPURATI GRATIS
“ROMA” SECONDO BOCCHINO
N el caso spulciando la lista dei giornali finanziati
mento biologico alla Ca-
mera ripartirà dal testo sul
fine vita uscito dal Senato.
In questo senso ha votato la
commissione Affari sociali,
provocando l’insurrezione
di Pd e Idv. Mentre per una
volta la Binetti e i teodem
hanno votato compatti con
la loro maggioranza.
A favore della proposta del
relatore Di Virgilio (Pdl) di
ripresentare il contestatis-
simo testo Calabrò licenzia-
to dal Senato hanno votato
a favore, in commissione
Affari sociali, 24 esponenti
della maggioranza con
l'Udc, mentre i contrari so-
no stati 18. Il relatore Di Vir-
gilio ha illustrato la sua pro-
posta dicendosi pronto a
prendere in considerazioni
modifiche nel corso dell'i-
ter del provvedimento alla
Camera. Voto contrario del-
la pattuglia dei 'teodem'
guidati da Paola Binetti. "Ho
votato contro pur condivi-
dendo il testo dell'impianto
- ha spiegato la Binetti - per-
ché mi sarebbe sembrato
piu' corretto, da parte del
relatore, dire subito che si
intendeva ripartire da lì
senza tenerci in sospeso, in
una sorta di 'suspence' per
tutto questo tempo". Il re-
latore, Giuseppe Di Virgi-
lio, dal canto suo si dice "ne-
gativamente sorpreso dalla
votazione contraria dei teo-
dem, perché siamo nel bi-
cameralismo, non si può
ignorare il lavoro di un ra-
mo del Parlamento, che ha
registrato ben settanta vo-
tazioni in un iter del prov-
vedimento che è durato
mesi. Mi sono anche detto
pronto - ha sottolineato Di
Virgilio - a migliorare il te-
sto e a fare tutto il possibile
per renderlo più vicino ai
bisogni delle persone”.
in un anno. Sono i con-
tributi pubblici arrivati
nelle casse dei giornali
solo nel 2008. Anche ai gior-
nali che giornali non sono.
Ne abbiamo dato conto ieri,
mettendo nero su bianco i
numeri di uno sperpero in-
digeribile. Oggi vi raccontia-
mo alcune di queste storie.
Quella di “Libero”, ad esem-
pio. O quella de “Il Campa-
nile”. O “Sportsman - Cavalli
e Corse”. Tutti finanziati dal-
lo Stato per un totale di do-
dai contribuenti vi sia caduto l’occhio sul
“Roma”, sappiate che è il quotidiano edito da Italo
Bocchino, ex di An ora rampante deputato Pdl. A
Napoli e in alcune edicole intorno ai palazzi romani
pare si trovi ancora. Il primo direttore di quel giornale,
nel 1996, fu Enzo Palmesano. Il 15 dicembre del 1996
viene licenziato, punizione per essersi opposto al
licenziamento di un altro giornalista. Tredici anni
dopo Palmesano sta ancora aspettando i soldi della
liquidazione e gli stipendi arretrati. Non sono serviti
avvocati e sentenze favorevoli. Il kafkiano
meccanismo di erogazione dei sussidi ai giornali ha
determinato intrecci di cooperative e società
editoriali che si passano tra loro la testata del
giornale (da cui dipendono i contributi). Risultato:
nessuno vuole pagare il dovuto a Palmesano, che da
tredici anni non si rassegna. Per la cronaca: Bocchino
non ha mai dato spiegazioni e “Il Roma” continua a
incassare denari pubblici: nel 2008 ha avuto 2.530.638
euro.
Tr o v a t e
Libero grida:
“Viva il Re!”
il 2000 quando l’allora direttore Vittorio Feltri fondò il
giornale: pensò bene di portare con sé una dote sostanziosa,
quella che gli veniva garantita dal “Movimento Monarchico
Italiano”, che già lo aveva finanziato durante i suoi anni a “Il
Borghese”. Ci si perde nelle variazioni di natura giuridica della
società editrice del quotidiano – prima organo dell’MMI, poi
cooperativa di giornalisti, oggi società uni-personale – ma quel
che rimane solido è il filo diretto con i nostalgici del Re. Ancora
nel 2008, come abbiamo ricordato nel giornale di ieri, Libero
ha ricevuto un finanziamento pubblico di quasi otto milioni di
euro. Come ha fatto? Facile, la testata del quotidiano è ancora
di proprietà di “Opinioni Nuove”, guarda caso organo ufficiale
dell’MMI.
Paradosso vuole, che uno dei più incattiviti nel denunciare il
“furbo espediente” di Feltri fu, un anno fa, l’attuale direttore di
“Libero”, Maurizio Belpietro, dalle pagine di “Pa n o ra m a ”.
Chissà se anche lui, d’ora in avanti dovrà dare prova degli eser-
cizi di stile del suo predecessore. Gli articoli a firma Emanuele
Filiberto di Savoia, per esempio. Oppure quei “contenuti di-
vulgati tramite le pagine di Libero” che inorgogliscono il se-
gretario dell’MMI, Alberto Claut. Ma cos’è questo MMI che ha
accesso a una parte così cospicua delle finanze pubbliche? Il
telefono della sede nazionale, a Padova, squilla a vuoto tutto il
giorno. In compenso, abbiamo trovato aperta la sede romana.
Peccato sia l’ufficio di un commercialista, il dottor Novellino.
Le segretarie nemmeno sapevano che a quell’indirizzo rispon-
desse pure il coordinamento laziale del movimento.
Certo, a lavorare in un ufficio con le pareti
tappezzate da gigantografie di reggimenti, ri-
tratti di Umberto II e la bandiera sabauda,
qualche dubbio sarebbe dovuto venire. Ma
tant’è. Politicamente, l’MMI dal 1999 “è uf-
ficialmente rappresentato in Parlamento, a
seguito delle dichiarazioni di appartenenza
di alcuni deputati e senatori”. Dieci anni do-
po, i monarchici non hanno remore ad am-
mettere che il programma di governo “che
meno si discosta” dalla loro Carta program-
matica è quello del Popolo delle Libertà. No-
mi? Due sicuri: Giustina Destro, già sindaco
di Padova, oggi deputata Pdl, è una dei refe-
renti istituzionali dell’MMI. E Maria Elisabet-
ta Alberti Casellati, eletta al Senato nelle liste
del Pdl, e ora nientemeno che Sottosegreta-
rio alla Giustizia. A garantire contributi di un
certo peso, infine, ci sono le migliaia di copie
regalate, come documentò “Report” in
un’inchiesta di due anni fa: all’ingresso della
metropolitana, negli ospedali, negli alberghi
vengono scaricate mazzette di “Libero”in
quantità. La tiratura aumenta, e così pure il
contributo dello Stato. Repubblicano.
Il Campanile
I “f a nt a s m i ”
2007. Enormi, per un quoti-
diano con una tiratura di-
chiarata di 5000 copie, di cui
solo 1500 distribuite nelle
edicole, e una redazione con
sette giornalisti professioni-
sti. I soldi dei contribuenti
non sono bastati. Il “Campa-
nile”, fondato nel 2000, non
esiste più, anche se la pagina
su Internet è ancora attiva.
Un sorridente Mastella chie-
de di abbonarsi con bonifico
bancario “per dare forza alle ragioni del Cen-
tro”. Ma i numeri di telefono per ulteriori con-
tatti sono staccati o inesistenti. L’Udeur ha smo-
bilitato, e il giornale non poteva sopravvivergli,
nonostante i milioni di euro ottenuti. Una delle
ragioni sociali tramite cui, grazie alle leggi
sull’editoria, si possono ricevere i finanziamen-
ti statali.
“Trotto e Turf ” , quotidiano di “politica e cul-
tura ippica”, li prende perché edito da una coo-
perativa di giornalisti. Ovvero “La Verità”, crea-
tura di Giuseppe Tatarella, cugino del co-fon-
datore di An, vicepremier nel primo governo
Berlusconi. In origine “La Verità” era anche il
nome di un quotidiano napoletano, poi diven-
tato “Napolipiù – La Verità”. Ma il giornale è fal-
lito nel 2008, nonostante contributi statali per
un milione e 700mila euro. Tatarella, nato a Mi-
lano ma con origini pugliesi, si è tenuto testata e
cooperativa, e con nuovi soci ha fondato a Mi-
lano “Trotto e Turf”, specializzato in puntate su
cavalli. Un settore che Tatarella conosce bene,
visto era uno dei soci di un’altra cooperativa, la
Coedip, che faceva uscire il quotidiano “Spor-
tsman - Cavalli e corse”. Anche questo fallito,
nonostante il diluvio di soldi pubblici del 2008:
due milioni e 530mila euro. Nel gioco di incastri
e finanziamenti incrociati, “Tro t t o ” ha preso il
posto di “Sportsman”. Il direttore responsabile
di “Tro t t o ”, Marco Trentini, conferma: “Più o
meno i giornalisti sono gli stessi di Sportsman”.
Resuscitato, grazie ai contributi statali. Trenti-
ni, gentilissimo, non si scompone: “Non abbia-
mo nulla di cui vergognarci. È giusto che lo Stato
ci aiuti, perché ‘Tro t t o ’ è un giornale vero, non
una pubblicazione finta”. Il direttore snocciola
numeri: il quotidiano ha una tiratura tra le 25 e le
40mila copie, e vi lavorano 30 giornalisti, di cui
12 con contratto a tempo indeterminato, più
collaboratori. “Lo Stato fa bene a dare una ma-
no” conclude Trentini. Trasparente.
di Clemente
di Luca De Carolis
di partito e alle auto blu. “È inutile che suona
al citofono, qui non c’è più nessuno da almeno
tre mesi” spiega un condomino. Inutile cercare:
de “Il Campanile Nuovo”, il quotidiano di Cle-
mente Mastella e dell’Udeur. È rimasta solo la
targhetta sul citofono. La sede al quarto piano di
una palazzina in largo Arenula, nel centro di Ro-
ma, è vuota. Sgombri anche gli uffici dei Popo-
lari - Udeur, due piani sotto. Al loro posto, solo il
rumore per i contributi pubblici al “Campani-
le”. Un milione e 150mila euro, ricevuti nel
2008 dallo Stato per le spese di gestione del
del Pdl, sia il Pd che l’Idv
fanno muro. "Di Virgilio e il
Pdl parlano di dialogo ma ri-
propongono lo scontro.
Dopo tre mesi di approfon-
dito dibattito, a fronte di
una opposizione che ha di-
mostrato tutta la volontà di
dialogare e dopo oltre tren-
ta audizioni che hanno sug-
gerito cambiamenti al testo
Calabrò, il relatore Di Virgi-
lio, anziché presentare un
nuovo testo base o fare un
comitato ristretto, ha scel-
to di ripresentare il testo
dello scontro”, attacca Li-
via Turco. Mentre Silvana
Mura e Antonio Palagiano
(Idv) spiegano: "La scelta di
adottare come testo base il
ddl Calabrò è un atto di ar-
roganza e al tempo stesso
dimostra che sul testamen-
to biologico si vuole segui-
re una linea di chiusura, vol-
ta a confermare quanto ap-
provato dal Senato".
pa.za.
L a discussione sul testa-
“L ibero” e i monarchici? Una storia che va avanti da anni. Era
I giornalisti sono spariti, assieme alle bandiere
E rispetto a questa scelta
174077653.017.png 174077653.018.png 174077653.019.png 174077653.020.png 174077653.021.png
Giovedì 29 ottobre 2009
L e dimissioni di Marrazzo hanno
pagina 4
VELENI
Berlusconi: le elezioni
aperto ufficialmente la corsa per le
elezioni Regionali del Lazio. Infatti,
sono sciolti sia la Giunta (in carica solo per
l’ordinaria amministrazione) che il Consiglio. E
ad affermare che si può ragionare sull’ipotesi di
tenerle nella data prevista, il 28 e il 29 marzo, è
anche il presidente del Consiglio, Silvio
Berlusconi: "Credo che le elezioni per il rinnovo
del Consiglio Nazionale del Lazio debbano
tenersi alla data stabilita insieme con quelle
delle altre regioni. Anticiparle non avrebbe
senso".
Novanta giorni sono il tempo massimo per
indire i comizi elettorali, dopodiché la campagna
elettorale dura 45 giorni. Se i comizi fossero
indetti oggi, il Lazio potrebbe andare alle
elezioni il 13 dicembre. Se invece si avvalesse dei
90 giorni per indire i comizi, si arriverebbe al
7-8 marzo.
Ma la maggioranza in Regione sta lavorando per
trovare un’intesa con il centrodestra in modo di
arrivare comunque alla data già prevista per le
elezioni, il 28 e il 29 marzo.
del Lazio si possono
tenere nella data stabilita
le tante verità di Natalie
ANCHE DUE EX MINISTRI AVREBBERO AVUTO
FREQUENTAZIONI A VIA GRADOLI
IL FATTO POLITICO
dc
Il Cavaliere
incorporeo
di Stefano Feltri
corpo, chiuso nella sua
casa di Arcore
convalescente per la
scarlattina (così ha detto),
Silvio Berlusconi riesce
però a manifestarsi nella
politica italiana senza
risentire della provvisoria
assenza fisica. Prima
interviene a “Ballarò”,
nell’ultima di una serie di
chiamate televisive, per
attaccare i magistrati e
annunciare un mini-taglio
dell’Irap poi ufficializzato
e subito smentito in
giornata. Sempre al
telefono, informa i suoi
ministri che archiviato il
caso Tremonti (non sarà
vicepremier e verrà
ingabbiato in un comitato
di politica economica),
ora si può andare avanti.
Mentre il Pd, come
sempre dopo
un’esperienza elettorale,
si ripiega nel dibattito
interno per valutare le
conseguenze della
(annunciata) uscita di
Francesco Rutelli,
Berlusconi pensa al
dopo-Marrazzo. Con un
duplice colpo di scena: il
Lazio, annuncia, voterà lo
stesso giorno delle altre
regioni, per evitare il
rischio di un risultato che
potrebbe condizionare
quelli successivi. E il
candidato, lascia
intendere il presidente
del Consiglio, sarà Renata
Polverini, la sindacalista
dell’Ugl, creata
televisivamente proprio
nel salotto di “Ballarò”
dove è intervenuto
Berlusconi l’altra sera.
di Natalie. Il travestito
brasiliano di via Gradoli
con i suoi silenzi e le sue
mezze verità è l’ago della bilan-
cia. Le sue parole possono con-
dannare i carabinieri arrestati
o inguaiare Marrazzo. Mentre
si diffondono voci incontrolla-
te su due ex ministri che avreb-
bero avuto relazioni con i trans
di via Gradoli (uno dei due, di
centrodestra, sarebbe stato an-
che fermato nel 1996 in una re-
tata di travestiti) i Carabinieri si
dedicano a cose più serie. Cer-
cano in uno dei pc sequestrati
agli indagati traccia di un video
più lungo di quello noto. E pro-
vano a convincere Natalie a di-
re tutta la verità. Anche gli in-
viati della trasmissione di Mi-
chele Santoro la cercano per
un’intervista. Ma Natalie fa la
difficile. E, quando parla sem-
bra una sfinge. Subito dopo gli
arresti, alla stampa ha confer-
mato il suo rapporto, risalente
al passato, con Marrazzo ma ha
negato di essere stata ripresa
nel video del ricatto. Con i Ca-
rabinieri, invece, è stata più
possibilista. I militari hanno
pensato di risentire Natalie
con calma. Intanto sono state
avviate le pratiche per il per-
messo di soggiorno tempora-
neo in qualità di testimone. Per
ora, anche se irregolare, grazie
al caso Marrazzo, resterà in Ita-
lia. Sono troppi i punti oscuri
nella scena del delitto e solo
Natalie può illuminarli.
Piero Marrazzo ha raccontato
di essere arrivato nel suo ap-
partamento in via Gradoli, in
un pomeriggio di luglio, per
consumare un rapporto ses-
suale a pagamento con il trave-
stito. Il Presidente però ha ag-
giunto che la cocaina abbon-
dante ripresa nel filmino se-
questrato appare sulla scena
insieme ai Carabinieri ricatta-
tori e sparisce con loro. La sua
tesi, condivisa dai magistrati
romani, è che la sostanza ripre-
sa nel video accanto al suo tes-
serino della Regione, faceva
parte di una messa in scena per
spillargli assegni per 20 mila
euro e 5 mila euro in contanti.
Proprio sulla base delle parole
di Marrazzo i due carabinieri
che sono entrati in via Gradoli
quel giorno sono stati arrestati
per concussione, rapina e in-
trusione nella sua vita privata.
Secondo i pm i carabinieri
avrebbero fatto irruzione e poi
girato il video del Governatore
con il trans e con la cocaina
proprio con il fine di ricattarlo.
Nei loro interrogatori in carce-
re i carabinieri si sono difesi so-
stenendo che Marrazzo men-
te. La cocaina era presente al
momento della loro irruzione.
Non solo: sarebbe stato Mar-
razzo a proporre loro di non
verbalizzare nulla in cambio di
una promessa di future ricom-
pense. Nessuna minaccia e
nessun ricatto. Avrebbero solo
chiuso un occhio sperando di
guadagnarci qualcosa e sareb-
bero usciti dalla stanza dopo
avere preso il telefono della se-
greteria del Governatore per
ricontattarlo. Le conseguenze
penali di un simile scenario so-
no ovviamente molto diverse.
Se la cocaina era presente in via
Gradoli prima dell’arrivo dei
carabinieri e se davvero Mar-
razzo ha pagato per evitare che
la circostanza fosse verbalizza-
ta, l’ex presidente potrebbe es-
sere indagato per corruzione e
segnalato per uso o addirittura
cessione di sostanze stupefa-
centi. Un’ipotesi fantascienti-
fica allo stato degli atti. La Pro-
cura predilige la versione di
Marrazzo e non vede all’oriz-
zonte una sua iscrizione sul re-
gistro degli indagati. Natalie
però potrebbe ribaltare tutto.
Se confermasse la versione dei
carabinieri sulla presenza della
cocaina, la situazione di Mar-
razzo cambierebbe. Una cosa è
certa: a Natalie conviene dire
che Marrazzo dice la verità. In
quel caso sarebbe parte lesa di
un’invasione di domicilio e di
una rapina. Se confermasse la
versione dei carabinieri, inve-
ce, si potrebbe ritrovare inda-
gata per la cocaina. Per ora la
M an o l o
F u c e c ch i
pro-
cura non ha
iscritto il suo nome sul registro
degli indagati. Un esperto del
ramo come Fabrizio Corona di-
ce: “Secondo me a organizzare
tutto è stato il trans”. Ma Nata-
lie è l’uni-
co prota-
gonista che potrebbe potreb-
be uscirne con un guadagno:
un bel permesso di soggiorno
e magari un cachet per un’in-
ter vista.
VA L L E T TO P O L I
CORONA E LE SUE REALTÀ PARALLELE. RISCHIA 7 ANNI
rebbe la penna di Honorè De Balzac. Dentro e fuori,
fuori e dentro. Carcere, minacce, estorsioni, gite in Har-
ley Davidson, risse, ricatti, donne. Tutto in prima pagina,
tutto sovraesposto, come una fotografia ritoccata, un pa-
radiso impossibile, una realtà parallela nella quale calarsi
per cancellare il presente.
In un aula del tribunale di Milano, ieri, per il reporter
d'assalto che terrorizzò mezza città con i suoi paparazzi
sguinzagliati nella notte tra luci e volti glabri, è stato un
giorno cupo.
Il Pm Frank Di Maio in una requisitoria durissima e a tratti
enfatica e con qualche licen-
za grammaticale, ha chiesto
per Corona sette anni e due
mesi di reclusione, oltre a
una multa di 1.200 euro. Ac-
cusato di estorsione e ten-
tata estorsione in relazione
ai presunti ricatti a perso-
naggi famosi, Corona si è di-
feso esplorando la tattica
che meglio conosce.
Contropiede e accuse urlate
ai microfoni dei numerosi
cronisti che lo attendevano.
"Una buffonata.
L'agenzia fotografica di Mi-
lano (La Photo Masi, coin-
volta nel caso Marrazzo ndr)
ha utilizzato le mie stesse
modalità di vendita, solo
che io ho fatto 130 giorni di
carcere, mentre l'agenzia
non è nemmeno indagata" e
poi, con la stessa aggressi-
vità dimostrata all'uscita del
Carcere di Potenza, dove
l'inchiesta del Pm Wood-
cock lo aveva confinato: "So
qualcosa di più di questa sto-
ria, ma non lo vengo a dire a
voi - ha proseguito - Chi ha
un'agenzia viene sempre
sollecitato e ti arrivano delle notizie in continuazione.
Sono certo che è stato il trans ad organizzare la cosa,
perchè fa notizia e se lo avessi intercettato io poi con me
avrebbe guadagnato almeno 50 mila euro".
L'ex amico fraterno dell'agente nostalgico del ventennio
Lele Mora, il ragazzo che nel suo ufficio aveva incor-
niciato la gigantografia della fattura intestata a Silvio Ber-
lusconi (pagata dal Premier per evitare che le istantanee
della figlia Barbara rubate fuori dall'Hollywood, discoteca
del rutilante triangolo di Corso Como, occupassero i set-
timanali specializzati) Fabrizio Corona figlio di Vittorio,
giornalista di valore, importante collaboratore de “La Vo-
ce” di Indro Montanelli e inventore di mensili che fecero
la (breve) ma intensa storia degli anni '80, si è poi di-
leguato insieme alla compagna Belèn.
Il proscenio è toccato allora alle considerazioni del Pm Di
Maio. "Un uomo accecato dalla bramosia di denaro che lo
ha fatto delirare, spingendolo a un sistema illecito e va-
nificando un progetto originario in se valido, come quello
dello sfruttamento del gossip”.
Opinabile la liceità o la validità del progetto originario,
certa la volontà di punizione, che a detta di Di Maio, deve
essere esemplare. Di Maio ha definito “abbietto” il com-
portamento del fotografo e "molto grave" il reato conte-
stato, sostenendo che l'imputato nel processo “ si è difeso
calunniando i testimoni”. Poi ha ammonito i giudici a non
concedere all'imputato le attenuanti generiche dato che
“ha già due sentenze passate in giudicato tra cui la spendita
(diffusione ndr) di monete false”. Secondo Di Maio, i 'fo-
toricatti' che l'agente fotografico siciliano avrebbe com-
piuto somiglierebbero a "estorsioni di tipo mafioso". Tra
l'ex calciatore di Milan e Inter Francesco Coco e Corona,
ha esemplificato Di Maio: "non si è verificata una libera
contrattazione. Corona ha accompagnato la trattativa con
minacce e ha insistito sul carattere scabroso delle foto per
realizzare il suo ingiusto profitto".
Pesanti valutazioni anche sul caso di Lapo Elkann. L'a-
gente fece sapere ai responsabili comunicazione della
Fiat che aveva in mano "materiale scandalistico" sulla not-
te trascorsa da Elkann in compagnia di un transessuale.
Usò, secondo il pm, "una minaccia seria, grave e inti-
midatoria, intuendo in quel frangente lo stato d'ansia del-
la Fiat e facendole capire che capacità di dominio avesse”
( M . P. )
il cerchio: da
imprenditore a politico
vero che può perfino
andare oltre il suo mondo
di riferimento,
candidando la Polverini al
posto dell’imprenditrice
Luisa Todini. E il Pd?
Mistero su quale
candidato sceglierà. Per
ora discute soprattutto
del dialogo (possibile o
impossibile?) con Antonio
Di Pietro. Mentre
nell’assalto ormai
ufficialmente iniziato alla
Finanziaria che fu
blindata, il Pd si limita a
riproporre ricette che un
anno fa contestava
dall’opposizione. Come la
detassazione delle
tredicesime, utile nei
sondaggi ma poco
comprensibile in un
momento in cui chi soffre
davvero sono le imprese
che producono beni
intermedi e ai piccoli
imprenditori Bersani ha
già fatto promesse. E
Tremonti? Questa è la
vera incognita, si capirà
cosa è cambiato nel suo
status oggi alla Giornata
del Risparmio, quando
ricomparirà in pubblico a
fianco del governatore
Mario Draghi.
la stanchezza di un volto come ha fatto Alessandra
Paolini ieri su Repubblica con la collega del Tg3, Roberta
Serdoz, moglie di Piero Marrazzo che ha moderato ”a
testa alta” il dibattito alla presentazione di “Valore D le
donne al vertice” con i “tacchi alti tailleur pantalone
nero, top verde come gli occhi” e il ”viso più stanco di
come siamo abituati a vederla”. Di Roberta non una sola
parola. E così i lettori di Repubblica hanno appreso
appreso che Roberta non ha avuto dubbi “ad accettare
di condurre il dibattito e a tornare al suo lavoro”, che sul
palco “si assesta la giacca nera, si sistema il top e
giocherella col cuoricino che penzola giù dal braccialetto
Tiffany”. Nella pagina accanto scopriamo che i suoi
colleghi raccontano che è una donna follemente
innamorata di Piero. È ancora così unita a lui che non se
l’è sentita di lasciarlo”. Straordinaria invasione a piedi
pari nell’animo e nel cuore di una donna. Un giornalismo
privo di delicatezza che amalgama ciò che è politico e
ciò che di politico non ha nulla.
Caso Marrazzo: tutti temono
A nche senza apparire in
di Marco Lillo
T utti pendono dalle labbra
P er descrivere la parabola di Fabrizio Corona, ci vor-
C osì il Cavaliere chiude
È LA STAMPA BELLEZZA di Sandra Amurri
SCUSALI ROBERTA
N essuna remora nel rubare una lacrima, una parola,
174077653.022.png 174077653.023.png 174077653.024.png 174077653.025.png 174077653.026.png 174077653.027.png 174077653.028.png
Giovedì 29 ottobre 2009
I n principio c’è il caso di Francesco Coco.
pagina 5
SESSO E IL POTERE
In principio fu Coco:
Nel 2006 l’allora terzino dell’Inter finì
nel tritacarne di vallettopoli per certe
foto che lo ritraevano in compagnia di un trans.
Foto finite nelle mani dell’agenzia di Fabrizio
Corona, foto proposte e ricattate all’interessato.
Fantascienza, si disse allora: sembrava che in Italia
il ricatto sessuale non potesse diventare una
minaccia mediatica. Si pensava che i dossier
potessero essere minacciati in privato, ma mai
emergere sui rotocalchi. E quando lo scandalo
emerse si disse: era un calciatore.
La politica italiana, dai tempi dello scandalo
Montesi, sembrava essere diventata immune. Era
l’America il paese dei sex gate, il paese che aveva
affondato l’ultimo dei grandi Kennedy a
Chappaquiddick. Poi, dal calcio si è passati al
giornalismo con il caso Boffo, e il disvelamento di
una sospetta omosessualità del direttore di
Avvenire. Era un tabù che veniva infranto. A
luglio i quattro carabinieri irrompono a via
Gradoli, soprendendo il governatore del Lazio
Marrazzo in un festino con dei trans e della coca.
Infranto l’ultimo tabù. nulla è stato come prima.
così il foto-ricatto
è entrato nel sistema
TSUNAMI TRANS:
ce... “E' semplice: con il finocchio
si parla dei problemi sessuali per-
chè non c’è il problema del con-
fronto”. Si fidano? “Sanno che
non tradirò. Nel centrodestra,
ovviamente, vivono un conflitto
grande: una volta uno di loro mi
chiede di comprargli il viagra
perché si vergogna. La volta do-
po si aggiunge un altro: ‘Già che
ci sei...’ Poi un altro ancora e...”.
Grillini sorride: “Sono diventato
spacciatore . Un giorno vado nella
farmacia più vicina a Montecito-
rio: avevo ricette per 500 euro. Al
farmacista stupito scappa la do-
manda: 'Tutto per lei? Compli-
menti'”.
Concia e l’o mofobia. Di nuovo
bisogna tornare a Paola Concia:
“A me che sono omosessuale un
trans non mi attrae. E io in que-
sto momento voglio difendere la
dignità dei trans, che hanno di-
ritto a vivere come vogliono, ma
devo anche ricordare che c'è un
rapporto di mercificazione per
cui molti uomini tendono a fare
dei trans degli oggetti. Ci sono
trans che non si operano perché
perderebbero clienti. Ci sono
trans costretti ad essere quello
che gli uomini vogliono”. La de-
putata del Pd sospira: “A questo
paese serve un politico che dica:
'Sì, mi piacciono i trans, votate-
mi'. Invece gli omosessuali nel
paese sono il 10% e in tutto il par-
lamento ci sono solo io”. Grilli-
ni: “Pochi ci riflettono: il ricatto
a Marrazzo non sarebbe stato
possibile senza il senso di colpa.
Nei clienti dei trans c'è una sin-
drome, detta del ‘ carabiniere in te-
sta ’. E' la certezza di essere sco-
perto. Per Marrazzo si è quadru-
plicato. Ma il carabiniere c'era
già”. Prende un respiro amaro la
Concia, si alza per andare a vo-
tare: “Quando è stata bocciata la
mia legge contro l'omofobia di-
cevano: i problemi veri sono al-
tri: lavoro, economia... Quante
persone riguardano questa leg-
ge? Beh - sorride amaro – la ri-
sposta oggi è molto più facile di
prima”.
A CHI TOCCA?
Grillini: “Deputati a viagra”,
Concia: “Hanno tutti paura”
“LA BRENDONA”. E’ Branda il trans simbolo della comunità brasiliana di via Gradoli (F OTO A NSA )
scute seduta sull'ultimo di-
vanetto del Transatlantico
prima della buvette, Paola
Concia allarga le mani per rac-
chiudere metaforicamente i de-
putati che entrano in Aula men-
tre trilla il cicalino della chiamata
al voto: “Li vedi? Qui da due gior-
ni si stanno tutti, diciamolo in
modo accademico, cagando sot-
to dalla paura”.
Ex ministri? Per capire bene
quanto sia profonda l'onda d'ur-
to dello Tsunami del caso Marraz-
zo bisogna partire da qui. Il Pa-
lazzo, i parlamentari, quella noti-
zia che rimbalza dalle cronache
come una minaccia: “Ci sono i
nomi di altri due ex ministri im-
plicati in una storia di trans”. Ro-
berto Giachetti, deputato Pd
quasi sbotta: “Inutile girarci in-
torno: siamo davvero, letteral-
mente, sputtanati. Passa tra la
gente l'idea che in Parlamento ci
siano solo sesso, droga e prosti-
tuzione. Mi chiedo: a chi serve,
chi ci guadagna? Tutto questo di-
strugge il nostro lavoro, la nostra
credibilità”. La riflessione di Gia-
chetti va ascoltata perché non
proviene da un moralista o un
bacchettone: “Se andassi a trans
non avrei problemi, lo direi. Il
nesso trans-politica è un proble-
ma per tutti”.
“Banalmente etero”. Mentre
parla Paola Concia si avvicina il
ministro Giorgia Meloni: “Ahò –
sorride - ma qui se uno è banal-
mente etero che deve fare? La
mia carriera – scherza – è finita”.
Lei che è il ministro dei giovani
dovrebbe essere portavoce di
nuove tendenze.. La Meloni sgra-
na gli occhi: “Dovrete ammette-
re che, dopo quel che è successo,
il buon vecchio Silvio, e le sue fre-
quentazioni femminili, saranno
retrò, ma ritornano un valore di
riferimento”.
Pecore. Prova a scherzare Gio-
vanni Lolli, unico deputato terre-
motato (fa su e giù con l’Aquila,
eroico, tutte le sere): “Che devo
fa? Sarò di montagna, arretrato,
inibito, ma io alla curiosità per i
trans non ho mai ceduto: da noi è
più facile accettare l'idea che si
faccia sesso con le pecore che
con gli uomini”. Eppure, giri per
il Transatlantico, nel giorno in
cui si vota per Matteoli, e capisci
che che il tam tam della paura, il
meccanismo Dieci piccoli indiani è
entrato nelle vene del Palazzo. A
chi tocca? Chi è il prossimo?
Scherza Gianni Cuperlo, ciuffo
biondo, notoria fama di rubacuo-
ri (etero): “Non io: purtroppo
vengo da zone sessualmente ar-
retrate. Mi torna in mente una
meravigliosa battuta di Altan:
'Quando al nord erano ancora
barbari, noi romani eravamo già
froci'”. Ancora Giachetti: “Il pro-
blema è l'insospettabilità. Chi
poteva ipotizzare che Marrazzo
andava a trans? Il prossimo po-
trebbe essere chiunque”. Simo-
ne Baldelli, segretario d'aula del
Pdl è garantista: “Se Marrazzo
avesse detto: 'Non mi dimetto', lo
avrei sostenuto, giuro. Il proble-
ma è enorme: è saltata la barriera
di protezione sulle nostre vite
private, pagheremo tutti un prez-
zo molto alto”. Annagrazia Cala-
bria, la deputata che ha aperto il
congresso del Pdl, una delle più
giovani, non ha tabù: “Maddài...
Qui tutti cascano dalle nuvole:
ma l'hanno scoperto oggi cosa
accadeva a via Gradoli? Se lo sa-
pevo io che sono una donna! C'è
tanta ipocrisia. E tanta paura”.
Dago-shock . Già, la paura. I no-
mi. Il nome . Alle 18.45, come se
suonasse un gong, Dagospia met-
te in rete una lettera anonima che
fa accapponare la pelle di molti:
“Caro Dago, come al solito ci hai
preso. Al tuo riferimento ai po-
litici di un noto ex grande partito
di centrodestra che farebbero
meglio a stare zitti sul caso Mar-
razzo, aggiungo una data: 29 apri-
le 1996. E' in quel giorno (anzi,
quella sera) – scrive l'anonimo -
che un notissimo esponente di
quel partito finì in una retata di
clienti di travestiti a Roma e riuscì
a salvarsi grazie al 'lei non sa chi
sono io' e all'indulgenza di troppi
giornalisti che da allora sanno
tutto ma sono rimasti muti”. La
lettera è stata appena linkata. Ti-
tolo: “M'arrazzo non è solo”. Fir-
masibillina: “Protosardo che
quella sera c'era”. In mano ai de-
putati spuntano i palmari, per
leggere di corsa su internet. C'è
chi si avvicina al giardino, dove
prende meglio. “Allora è lui!”,
sussurrano altri. Lui chi? Visto che
in quel momento si trova a Mila-
no, il telefono di Franco Grillini si
arroventa. Franco sorride: “ Quel
nome lo so bene. Ma non lo fac-
cio: primo, non voglio querele. E
non voglio sembrare uno che
sputtana un altro perché è un di-
rigente del centrodestra”.
Grillini: archetipi sessuali.
Molto più interessante, la rifles-
sione del presidente onorario Ar-
cigay sul rapporto tra politica e
universo trans: “In un paese ses-
suofobico come il nostro un ma-
schio al potere è costretto in un
parte precisa: mostrarsi eteros-
sessuale e cazzuto”. Perché? “La
sessualità maschile è ancora
l’unico l'archetipo simbolico del
potere nella nostra società”. Gril-
lini sospira: “I trans, lo dicono le
ricerche, in Italia sono più di
15mila. I transgender, meno do
8mila. Ma la domanda di sessua-
lità ha plasmato un mercato di
prostituzione che arriva da fuori
per due motivi”. Quali? “In pri-
mo luogo c'è chi va a trans perché
non ammette una omosessualità
latente: la parvenza femminile lo
aiuta a superare il suo tabù. Poi ci
sono quelli che cercano la com-
plicità furtiva delle prostitute an-
ni ‘50: è un maschio italiano che
si eccita ancora per i labbroni ros-
si, il trucco, l'estetica giunonica
del trans-corazziere... una donna
che nella realtà non esiste più. Se
a Bologna vai con le prostitute au-
striache, 300 euro a botta, scopri
che non hanno un filo di trucco”.
Ma perché i politici dovrebbero
essere più vulnerabili degli altri
alla trans-manìa? “Lavorano col
potere e la sua rappresentazione:
quindi vivono i problemi della
sessualità con un conflitto mag-
giore”. Terzo motivo? “Ragazzi,
per il cazzo!”. Come lo sa Grillini
che tanti vanno con i trans in Par-
lamento? “Semplice: quando ero
a Montecitorio venivano in tan-
tissimi a confidarsi”. Tutti diceva-
no: Grillini esagera. Adesso inve-
Berlusconi stravolge Floris
“Non sono l’anomalia italiana”. Il premier alla cornetta fa il boom di ascolti
di Carlo Tecce
care l’autonomia dei vari Fabio Fa-
zio, Serena Dandini e Lucia Annun-
ziata. La terza rete è un’enclave te-
levisiva perché scampata alla bo-
nifica governativa. Nonostante le
nomine aziendali siano quasi com-
plete, presto Ruffini tornerà
sull’agenda del consiglio di ammi-
nistrazione. Le truppe aspettavano
un segnale, adesso sono pronte a
riaprire una questione sospesa. Il
mirino di Berlusconi indica Floris
per stringere su Rai Tre: “Lei fa dei
processi pubblici nei miei confron-
ti e senza contraddittorio nella tv
pagata da tutti i cittadini. Le ricor-
do che la televisione non è sua. Ho
assistito agli interventi degli espo-
nenti della sinistra, ho assistito al
festival delle falsità e della calun-
nia. La tv pubblica italiana ha una
prevalenza assoluta di giornalisti di
sinistra e di programmi di sinistra e
attacca il governo”. La telefonata
da Arcore irrompe in diretta a venti
minuti dalla chiusura, non sconvol-
ge più di tanto Giovanni Floris, abi-
tuato - siamo al quarto intervento
in tre anni - a sedare la foga di Ber-
lusconi in collegamento da casa. Il
presidente del Consiglio è furente
perché i consoli in studio, i ministri
La Russa e Alfano, non l’hanno blin-
dato con cura nel giorno della con-
ferma in Appello della condanna di
David Mills. Berlusconi stravolge la
scaletta: via il dibattito sulla crisi
economica, ecco la giustizia rossa.
Floris cammina nervoso e tergiver-
sa, lascia libero sfogo all’ospite da
Arcore che, con piglio da consu-
mato conduttore, rifiuta le doman-
de e gestisce il tempo a sua discre-
zione: “Non sono l’anomalia italia-
na, ma lo sono i pm e i giudici co-
munisti di Milano che da quando
sono sceso in politica mi hanno ag-
gredito in tutti i modi. I pm sono la
vera opposizione nel nostro Pae-
se”. Floris si sveglia felice e con un
meraviglioso bottino di ascolti
(quasi 5 milioni di spettatori con
picchi di 6 con il premier alla cor-
netta) e poi esamina la serata sul
proprio sito: “Noi facciamo giorna-
lismo, non siamo faziosi, esercitia-
mo il diritto di critica verso tutto e
tutti. L’importante è non cedere,
mantenere la calma e tenersi lucidi
pensando alla domanda che vuoi
fare. Insomma, mentre il presiden-
te del Consiglio parlava di faziosità
io pensavo all'Irap!''. E forse Ber-
lusconi pensava come insidiare Bal-
larò . Stasera tocca ad Annozero (Mar-
co Travaglio ha firmato il contratto
di 4 mesi). Nella trasmissione di Mi-
chele Santoro si discuterà di “ricat-
ti” e del caso Marrazzo per capire
se “dossier, veline e filmati siano
diventate le armi della politica”. E
già s’avvertono i fumi della pole-
mica. Chissà se stavolta, con la scar-
lattina che inchioda davanti alla tv,
il presidente del Consiglio chiame-
Annozero : ci aveva provato due
settimane fa da Sofia - la città
dell’editto - ma aveva inutilmente
allertato e scosso il direttore di Rai
Due, Massimo Liofredi. Non è da
escludere un’invasione telefonica
di Berlusconi, due in tre giorni: il 7
ottobre - la sera della bocciatura del
Lodo Alfano - è intervenuto quasi in
contemporanea a Matrix e Porta a
Por ta . I precedenti sono una deci-
na. Il più pittoresco al Processo di
Biscardi: “Parola d’onore: non la-
scio Kakà al Manchester City”. Ve-
ro. L’ha venduto a giugno al Real
Madr id.
larò sono i più antichi del reper-
torio: giudici comunisti, i cento
procedimenti, interpretazioni stru-
mentali. Scontato. Come il deside-
rio (ormai risaputo) di Silvio Ber-
lusconi: sostituire Paolo Ruffini alla
direzione di Rai Tre per zittire il suo
pupillo Floris e, di riflesso, soffo-
Stasera Santoro
parla del caso
Marrazzo:
arriverà un’altra
telefonata?
MONTECITORIO
di Luca Telese
A un certo punto, mentre di-
I pezzi scelti per l’incursione a Bal-
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